Ammortizzatori sociali, verso il migliaio di richieste delle imprese

Mercoledì 1 Aprile 2020 di Francesco Campi
Diverse aziende stanno provando a convertire la produzione in mascherine per il coronavirus
ROVIGO - Ci sono numeri in crescita costante: sono quelli delle richieste di accesso agli ammortizzatori, riflesso del lavoro che si ferma, a ogni livello e in quasi tutti i settori. Come spiega il segretario generale della Cgil polesana Pieralberto Colombo, «c’è un aumento costante perché si è aperta tutta la partita della cassa integrazione in deroga. Fra tutte le tipologie di domande, dall’inizio della settimana ne abbiamo avute quasi 200, che si sommano alle oltre 600 già arrivate: il totale si sta avvicinando a quota mille, fra Fondo di solidarietà bilaterale per l’artigianato, Fondo di integrazione salariale per il commercio, cassa integrazione ordinaria e in deroga e cassa integrazione straordinaria. È ferma una parte rilevantissima dell’artigianato, il piccolo commercio, il turismo, tutto il settore edile, ma anche gli studi professionali. Sono fermi anche tanti lavoratori autonomi e partite Iva, e a breve dovrebbe essere operativa la misura specifica. Per le partite Iva individuali che hanno dipendenza da un unico committente, fra l’altro, è giusto che abbiano un sostegno al reddito superiore ai 600 euro. Oggi si dimostra ancora di più la validità di quanto la Cgil ha proposto con la Carta dei diritti universali del lavoro. E spero che quando ci sarà da ricostruire, si voglia seguire una via “alta”, per evitare che un problema di natura lavorativa si trasformi in un problema sociale e consapevoli che la ricetta della compressione dei diritti, scaricando la precedente crisi sui lavoratori, è stata fallimentare».

TAVOLO IN PREFETTURA
Per quanto riguarda le aziende che pur non ricomprese nei codici individuati per rimanere aperti in quanto filiere essenziali, hanno chiesto la deroga per continuare a produrre ritenendo di essere all’interno di quelle filiere, Colombo spiega che «come organizzazioni sindacali siamo in attesa della convocazione della Prefettura. Siamo già un po’ preoccupati sui numeri, perché dopo una prima scrematura, venerdì le situazione rimaste da valutare erano circa 150 e non vorremmo che fossero cresciute ulteriormente. Il problema è che come la diffusione dei contagi sul luogo di lavoro ci dimostra, mantenere aperte le realtà produttive comporta dei rischi e bisogna valutare attentamente. La salute resta la priorità assoluta».
Come nota Federica Franceschi, segretaria della Filctem Cgil, «che il settore manifatturiero legato al tessile e al calzaturiero fosse il primo ad arretrare con la produzione, era presumibile già nelle prime disposizioni del Governo, pertanto il ricorso agli ammortizzatori da parte delle aziende è stato pressoché immediato. È importante segnale che alcune realtà anche nella nostra provincia stanno riconvertendo parte della produzione per la realizzazione delle mascherine. Si attendeva un drastico intervento sui settori della gomma plastica, in particolar modo sulla produzione dei tubi e raccordi, che invece hanno visto anche nell’ultimo allegato la deroga per la produzione, determinando il ricorso alla cassa integrazione solamente per le realtà industriali che hanno deciso di prevenire i rischi derivanti dalla continuità produttiva o che hanno effettuato valutazioni di ordine finanziario-economico anche alla luce del fermo del mercato edilizio. Le preoccupazioni chiaramente vanno al personale, chiedendo alle aziende di garantire al massimo la sicurezza e ridurre al minimo essenziale la capacità produttiva al fine di consentire accanto alla contrazione della forza lavoro una riduzione dei quantitativi. Inutile intervenire sul personale riducendo la presenza se poi si pretende che gli standard produttivi vengano mantenuti. Se da un lato si riducono i rischi da contagio, dall’altro si creano tensioni e ritmi di lavoro che non paiono in nessun modo giustificabili. Analoghe considerazioni si possono muovere per settori della chimica rientranti in produzioni accessorie che avrebbero sin da subito dovuto limitare la produzione e rimodulare pertanto i ritmi di lavoro e l’organizzazione».
Il problema rimane quello del rispetto delle massime precauzioni sui luoghi di lavoro e sul dialogo con i vertici aziendali. «Non siamo in una fase di trattativa sindacale, siamo nel pieno dell’emergenza sanitaria e i ruoli in questo caso non possono trincerarsi dietro all’ormai triste contrasto tra capitale e lavoro, perché in questo difficile momento trova solo una triste e malefica declinazione scegliere tra la produzione e la sicurezza dei lavoratori, quando qualora la prima venga definita necessaria, la seconda rappresenta l’unica barra attorno cui devono gravitare ogni scelta e ogni intervento».
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