Taglio ai fondi per il centro ricerche sulla cannabis: è rischio chiusura

Lunedì 28 Ottobre 2019 di Francesco Campi
Giampaolo Grassi in una serra del Crea-Ci
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ROVIGO - Un taglio che potrebbe essere doloroso. Non solo per Rovigo. Riguarda la canapa, una pianta che affonda le sue radici nella storia del Polesine, che un tempo era fra le principali aree di produzione, e che ha ancora un “presidio” che guarda al futuro, il Crea-Ci di viale Amendola, dove si svolge ricerca nel settore della genetica e della selezione varietale della cannabis sia per usi industriali che farmaceutici, unico luogo di produzione autorizzato delle talee delle varietà utilizzate per la produzione di cannabis terapeutica italiana.
 
Come già era accaduto due anni fa e nel 2015, spirano venti gelidi sul centro di ricerca rodigino.
Giampaolo Grassi, primo ricercatore e anima della struttura rodigina, ha affidato alla sua pagina Facebook un’amara considerazione: «Già si stanno preparando al mio pensionamento. Hanno lasciato scadere il programma di finanziamento l’anno scorso e a oggi non c’è un euro per continuare a produrre le talee che forniamo allo Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze. Conseguenza: si interromperà a breve la produzione italiana di cannabis medicinale e si spenderanno soldi per comprarla dai canadesi». Secondo il suo sfogo rischierebbe di saltare dalle fondamenta il Progetto cannabis, nato dall’accordo siglato il 18 settembre 2014 dal ministro della Salute Beatrice Lorenzin e dal ministro della Difesa Roberta Pinotti per la produzione nazionale da parte dello Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze. Le piantine, nascono e vengono selezionate proprio in via Amendola.
Il taglio di cui Grassi dà notizia sarebbe particolarmente pesante sia per la filiera agroindustriale della canapa, che proprio in questi anni sta rifiorendo e che è stata al centro di un’ulteriore legge regionale di promozione, approvata ad agosto, sia per Rovigo che perderebbe un altro polo di eccellenza, sia per i pazienti che si curano con i derivati dalla cannabis. Proprio nei giorni scorsi la quinta commissione del consiglio regionale veneto, competente per le politiche socio-sanitarie, ha approvato la relazione annuale sull’attuazione della legge regionale 38 del 28 settembre 2012 “Disposizioni relative alla erogazione dei medicinali e dei preparati galenici magistrali a base di cannabinoidi per finalità terapeutiche”. Il Veneto è stata la seconda Regione in Italia a dotarsi di una legge organica di disciplina degli aspetti organizzativi attinenti alle modalità di erogazione dei farmaci cannabinoidi da parte del Servizio sanitario regionale. E nella relazione si evidenzia che nel 2018 i pazienti delle Ulss venete trattati con farmaci cannabinoidi, utilizzati principalmente per analgesia, soprattutto in oncologia, anoressia e sindrome di Gilles de la Tourette, sono stati 1.124. Nel 2015 erano appena 210 e rispetto al 2017 l’incremento delle prescrizioni è stato di circa il 30%. Solo per 311, il 28%, è stato tuttavia registrato l’esito della terapia. Che per ben il 77% di loro, 239, è stato positivo, ovvero è stato notato un miglioramento del loro quadro sintomatologico. Solo per 16 di questi 311 pazienti è stata sospesa la terapia, per 14 perché non sono stati notati miglioramenti, per 2 per l’insorgere di effetti indesiderati. In Polesine i pazienti trattati con cannabinoidi nel 2018 sono stati 29.
I primi lotti di cannabis “nostrana” sono stati resi disponibili da luglio 2018, ma ancora il grosso dei prodotti utilizzati sono importati da Olanda, Canada e Inghilterra e la spesa complessiva per i pazienti veneti è stata di 272mila euro, di cui 72mila a carico del Sistema sanitario regionale.
Ultimo aggiornamento: 12:28 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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