Allarme per il bosco di Liparo: «Dev'essere pulito e potato: sta soffocando»

Giovedì 6 Maggio 2021 di Guido Fraccon
Il bosco di Liparo di Ca' Emo è situato lungo la strada che conduce verso l’abitato di Valliera

ADRIA - Il bosco di Liparo di Ca’ Emo finisce sul tavolo della Regione. Daniele Ceccarello e Barnaba Busatto, esponenti dell’Associazione per la cultura rurale, sezione di Adria, hanno chiesto all’Unità Forestale, sede di Padova, un intervento urgente di potatura e di pulizia per evitare il rischio asfissia dell’area boschiva collocata lungo la strada che conduce verso l’abitato di Valliera, più volte finita nel mirino dei vandali dell’ambiente. Tre le proprietà interessate: il Consorzio di bonifica Adige Po, il Comune di Adria e l’Ulss 5 Polesana. «Tali aree, da voi piantumate - scrivono - e già in passato oggetto di un intervento, si trovano oggi in condizioni di degrado. Necessitano, con urgenza, di idonea manutenzione».Secondo Ceccarello e Busatto, il boschetto negli ultimi tempi si è trasformato in un punto di incontro e di ritrovo per visitatori e abitanti sia di Ca’ Emo che di Fasana, essendo presente in loco anche un capitello mariano. Secondo la segnalazioni, sarebbero circa tre anni che l’area non viene curata. 

RECUPERO AMBIENTALE
E dire che proprio l’area di Liparo era stata al centro, anni fa, di una complessa operazione di recupero ambientale. Il progetto riguardante questa striscia di terreno, parte di proprietà dell’ex consorzio Adige Canal Bianco, ebbe inizio nel 2004, su iniziativa dell’ex assessore Fabio Roccato, su sollecitazione proprio di Ceccarello. La storia del bosco, invece, nasce nel lontano 1988, quando il Consorzio lanciò un progetto per la bonifica e il recupero ambientale della golena, 21.280 metri quadrati tra la strada comunale Ramalto e l’argine di destra dello scolo Valdentro. Quell’area era soggetta, allora, allo scarico abusivo di rifiuti inerti e solidi urbani. Si decise pertanto di recuperarla mediante il conferimento controllato di circa 20mila metri cubi di materiale inerte, normalmente proveniente da scavi e demolizione di fabbricati. A maggio di quell’anno, inoltre, la Provincia approvò il piano di recupero ambientale del sito, cui seguì un accordo tra il Comune e il Consorzio di bonifica, con cui il Consorzio stesso autorizzò palazzo Tassoni a eseguire l’operazione. Fu stipulata una convenzione, della durata di tre anni, che prevedeva che gli inerti potessero essere conferiti oltre che dal Comune, anche da privati. La discarica, infatti, doveva essere aperta dalle 7 alle 12 e vi doveva essere un addetto comunale che doveva annotare su un registro il quantitativo depositato. La convenzione contemplava anche il fatto che la zona dovesse essere recintata e chiusa da un lucchetto, in modo da impedire depositi incontrollati. Così fu solo all’inizio, dal momento che la discarica mai entrò a regime, anche a causa della spesa che dovevano sostenere coloro che vi portavano gli inerti.

IL “TRACOLLO”
Il Comune decise di sospendere dopo pochi mesi la presenza del custode e nel 1994 l’amministrazione informò il Consorzio che considerava concluso il recupero ambientale. Da allora iniziarono i problemi veri. Ignoti iniziarono a scaricare in loco, abusivamente, rifiuti di vario genere: materassi, batterie esauste, lavatrici, televisori e altro. Nel maggio del 1999 la Forestale segnalò la cosa al Comune e questo fece bonificare, a sue spese il sito. Ciò accadde più volte. Nel 2003 infine si arrivò anche al sequestro.


 

© RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci