Francesco Zambon : «Io e Crisanti? Due storie completamente diverse»

Sabato 1 Maggio 2021 di Angela Pederiva
Francesco Zambon

VENEZIA - Titolo di “Report”: «Crisanti come Zambon?». Al termine della settimana contrassegnata dalle polemiche (e dalle inchieste) che coinvolgono il microbiologo Andrea Crisanti e la Regione Veneto, giriamo la domanda proprio al ricercatore Francesco Zambon, autore del rapporto sulla gestione della prima ondata in Italia, ritirato dai vertici dell’Oms.

Paragone possibile? Risposta: «Penso che le nostre siano vicende completamente diverse». 

Perché vicende diverse?
«Quello di Crisanti è uno studio scientifico con dati raccolti, analizzati e discussi, destinato a orientare le strategie dei tecnici. Invece il rapporto Oms era la descrizione narrativa e non valutativa di una risposta, basata su dati diffusi dalle fonti ufficiali e pensata per essere utile ai decisori politici degli altri Paesi».


Non pensa che entrambi siate stati messi ai margini per aver rivelato verità “scomode”?

«Non posso commentare. Mi risulta che lo studio di Crisanti non sia ancora stato sottoposto a peer review (valutazione tra pari, ndr.), per cui allo stato non è un’evidenza scientifica».


Il rettore Rosario Rizzuto dice: stop polemiche. Concorda?
«Sono molto d’accordo con il professor Rizzuto. Credo sia necessario basarsi sulle evidenze, senza fare strumentalizzazioni di nessun tipo, andando dritti verso la verità. Stiamo parlando della salute della gente, non di chi è più bello o più brutto. In questo credo che anche la stampa abbia un ruolo importante».
E le carte bollate lo hanno?


«Penso sia una degenerazione del Covid quella di finire in un’aula di tribunale. Non voglio dire che la responsabilità non vada accertata. Ma dobbiamo stare molto attenti al fatto che la pandemia, che già pone sfide sanitarie e sociali enormi, non diventi pure un colossale peso per il sistema giudiziario italiano».


Quanto incide l’esposizione mediatica degli scienziati? 
«Il problema non è tanto di essere distolti dal campo, ma di espandere il proprio giudizio in aree su cui non si è competenti. Questo favorisce la disinformazione, con i cittadini che vengono sballottati da un parere all’altro, spesso senza essere in grado di distinguere le varie fonti e valutare quale sia la voce più autorevole. Già c’è un elevatissimo grado di incertezza sulla pandemia: non è il caso di amplificarlo ulteriormente».


Cosa pensa del caso tamponi?
«Per l’appunto: sarebbe una domanda da porre a un virologo. Mi sono documentato anch’io, leggendo articoli su riviste autorevoli come Lancet, che ha comparato gli antigenici e i molecolari, concludendo che anche i rapidi sono validi. Con dei distinguo: è importante valutare il contesto dove si usano, il rischio epidemiologico, quando è avvenuto il contagio. Avere un falso negativo in un soggetto che ha una carica virale bassa e non è in grado di contagiare altri può essere, da un punto di vista di sanità pubblica, un rischio accettabile».


Crisanti ne parlò nel Cts, di cui anche lei faceva parte?
«In autunno ci eravamo interrogati sui contesti in cui effettuare i tamponi rapidi. Chiaro che da allora è passato un mondo di conoscenza. A fine ottobre è stato sottoposto al Cts il Piano di emergenza per l’autunno. Abbiamo discusso collegialmente sull’opportunità di utilizzare gli antigenici, valutando i pro e i contro con le evidenze disponibili in quel momento. Il professor Crisanti era d’accordo che il molecolare rimane il gold standard (riferimento diagnostico, ndr.), ma a certe condizioni, come ad esempio la velocità di refertazione. Bisogna tenere in considerazione anche altri fattori. Avere un molecolare positivo refertato magari dopo 48 ore, cosa che può accadere quando il sistema è sotto stress, in un contesto con popolazione vulnerabile, va valutato nell’ottica di avere un test magari con sensibilità più bassa ma ripetuto più frequentemente e somministrato ad un numero molto più alto di persone».


Cosa direbbe oggi un rapporto dell’Oms sulla gestione del Covid dopo la prima ondata?
«A maggio abbiamo scritto che il modello Veneto era diverso da quello della Lombardia, non perché volevamo essere gentili con la Regione, ma in quanto gli studi scientifici sottoposti a peer review avevano valutato le diverse risposte. Per non alimentare polemiche inutili e non supportate da evidenza, credo sarebbe necessario attendere il termine di questo flusso di ondate e poi fare una comparazione tra gli Stati e tra le Regioni, vedendo che cosa ha funzionato e che cosa no. Mi rendo conto che possa essere un’attività molto delicata e spinosa. Ma non credo che il fatto che sia politicamente sensibile debba essere un ostacolo. Se vogliamo produrre un cambiamento, dobbiamo arrivare alla verità. Le ombre non portano da nessuna parte, se non in tribunale». 
 

Ultimo aggiornamento: 2 Maggio, 10:41 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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