Alla Biennale di Venezia
scoppia il caso Costa Rica

Mercoledì 1 Aprile 2015 di Sergio Frigo
Il padiglione del Costa Rica alla Biennale Architettura
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VENEZIA - Soldi dagli artisti, una sessantina, per esporre alla Biennale, sia pure in un padiglione straniero?

A poco più di un mese dall’inaugurazione dell’Esposizione internazionale d’arte scoppia lo scandalo, e la Costa Rica, il paese coinvolto, è costretto a ritirare la sua partecipazione: con buona pace di Dario Fo e del figlio Jacopo, di Romina Power e di altri artisti vip invitati ad esporre le loro opere nel padiglione; e con una sonora arrabbiatura del presidente Paolo Baratta, che avrebbe evitato volentieri questo genere di pubblicità.



La notizia viene diffusa da un sito specializzato - Flash Art - all’inizio del pomeriggio di ieri, rilanciando la denuncia di un artista italiano, Umberto Mariani, che sostiene di aver ricevuto una richiesta di 95mila euro per esporre una sua complessa e voluminosa installazione a Palazzo Bollani, sede del padiglione, mentre agli altri artisti, con spazi inferiori, sarebbero stati chiesti 5mila euro.



A curare il padiglione era lo storico dell’arte Gregorio Rossi, che aveva scelto di coniugare il tema "Tutti i futuri del mondo" scelto dal direttore della Biennale Okwui Enwezor, facendo di quello costaricense il "padiglione della pace". Rossi sostiene di aver sostenuto per anni, a titolo personale, la presenza della Costa Rica alla Biennale, nell’ambito del padiglione dell’Istituto latino-americano, perchè «innamorato di quel paese, pur non avendolo mai visitato, che ha scelto di non avere un esercito e di aprirsi all’accoglienza di tutti».



Quest’anno il curatore aveva invitato molti artisti ad intervenire, senza alcuna gerarchia, proponendo delle loro opere sotto la bandiera della pace. Sarebbe stato Umberto Mariani, a suo dire, ad offrire i 95mila euro per avere a disposizione - «ad onta dello spirito equalitario del padiglione» - quasi un terzo del palazzo per la sua installazione. «E naturalmente abbiamo rifiutato», aggiunge Rossi. E il "gettone" di 5mila euro chiesto agli altri? «Il Costa Rica non ha stanziato nulla per la partecipazione, il padiglione quindi è completamente autofinanziato - è la risposta - Abbiamo dunque chiesto ai partecipanti un contributo per le spese, che solo per l’affitto della sede raggiungono gli 80mila euro, senza contare la guardiania, le assicurazioni, eccetera. Alcuni artisti hanno pagato 5mila euro, altri 3mila, altri - soprattutto i giovani - nulla».



Fin qui la vicenda, a cui Flash Art aggiungeva una chiamata in causa della stessa Biennale, «che non vaglia sufficientemente le proposte permettendo di usare il proprio nome e la propria immagine per iniziative a dir poco discutibili. Ma lo stesso appunto dobbiamo rivolgere anche all’Ambasciata del Costarica».

Passano poche ore e arriva la nota ufficiale della Biennale: comunica che «la figura più alta in grado dell’Ambasciata di Costa Rica in Italia», Ileana Ordonez Chacon, ha deciso il ritiro dalla Biennale, e ribadisce che l’istituzione non ha voce in capitolo nelle scelte dei paesi stranieri. Gli uffici fanno filtrare però la forte irritazione del presidente Baratta per le richieste economiche agli artisti, del tutto irrituali, soprattutto in considerazione del fatto che i padiglioni stranieri non sono tenuti a versare nulla alla Biennale, e anzi utilizzano gratuitamente il marchio e la promozione della manifestazione.



Tutto questo rischia di rivelarsi un vulnus, infatti, anche per la Biennale nel suo rapporto fiduciario con gli artisti. Gregorio Rossi, dal canto suo, non ci sta, e annuncia querele «nei confronti di chi ha rilanciato senza alcuna verifica le accuse di Umberto Mariani», oltre a lamentare che la Costa Rica abbia deciso il ritiro «esclusivamente in base a queste accuse, dopo essersi fatta bella da anni grazie al mio impegno, senza sborsare un euro». Fine di una storia d’amore.
Ultimo aggiornamento: 11:20 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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