Lega Nord, tensioni in Lombardia
L'asse si sposta verso il Veneto

Venerdì 15 Luglio 2016 di Paolo Francesconi
Lega Nord, tensioni in Lombardia L'asse si sposta verso il Veneto
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VENEZIA - Si sposta verso il Veneto l’asse della Lega Nord. Non solo per i brillanti risultati alle Comunali contrapposti alle sconfitte (al ballottaggio) a Milano e Varese, ma anche per effetto dei contraccolpi interni successivi alle elezioni, "movimenti" che guardano per un verso al prossimo congresso federale (il mandato del segretario Matteo Salvini scade a dicembre), per un altro alle Politiche, rispetto alle quali la mancanza di date e certezze (al 15 luglio non si sa neanche se il referendum sulle riforme si farà in ottobre o quando) legittima chiunque ad avviare ogni tipo di sortita.
È in quest’ottica che si possono leggere, in Lombardia, il riaccendersi di tensioni sopite, i segnali di ripresa del dualismo tra il governatore Roberto Maroni e Salvini criticato a sorpresa anche da uno dei suoi come il segretario lombardo Paolo Grimoldi (già a capo dei Giovani Padani) oltre che a caldo dallo stesso fondatore Umberto Bossi («Salvini ha perso, ci vuole un congresso, non c’è una linea, non si abbandona il federalismo»). Al leader quarantenne che ha preso in mano il partito sotto il 3% nazionale rilanciandolo come prima forza del centrodestra viene ora rinfacciato lo "scarso impegno" a sostegno di Parisi, candidato sindaco berlusconiano di Milano, il mancato sfondamento nazionale e a Roma di Noi con Salvini. Secondo alcuni si tratta di attacchi al segretario federali portati in chiave difensiva, per giustificare un bilancio non esaltante negli altri comuni lombardi. Fendenti menati infatti anche dagli uomini di Maroni, a sua volta uscito malconcio dalla sconfitta casalinga di Varese.
Sta di fatto che le fibrillazioni si sono avvertite: intravedendo un momento di appannamento della leadership di Salvini, il governatore, in una manovra "a tenaglia" con Bossi, punterebbe a mettere in discussione gli equilibri e riaprire vecchi schemi di "gioco". Si vocifera di congresso rinviato sine die per paura della conta interna, di statuto cambiato per prorogare il mandato, di scioglimento dei Giovani padani, dell’annullamento del tradizionale raduno di Pontida, confermato invece dal 16 al 18 settembre e imperniato sul No al referendum (un discorso a parte vale per la festa dell’indipendenza dei popoli padani già sospesa per ragioni di costi da due anni e che tornerà in versione low costprobabilmente nel 2017).
I colonnelli di Salvini, pur seccati dalle manovre di disturbo, ne minimizzano la pericolosità: il congresso si farà senz’altro, potrà anche slittare di qualche mese - spiegano - ma solo per poter costruire progetto, squadra e programmi anti-Renzi in un quadro di minor incertezza sia sulla situazione italiana che su quella europea. E sulle candidature alle prossime Politiche - ricordano - l’ultima parola spetta sempre a Salvini. Gli stessi colonnelli riconoscono che il Veneto è stato il primo difensore del leader federale di cui oggi rappresenta senz’altro l’alleato più grosso e affidabile. Al suo fianco si è subito schierato il segretario Toni Da Re, a ruota altri big e molti semplici militanti sui social network. Scelta meditata e insieme risposta istintiva quella dei leghisti veneti: appena usciti da un periodo devastante di lotte interne non vogliono nemmeno sentire l’odore di nuovi scontri tanto che hanno reagito facendo quadrato attorno al segretario.
Ma l’asse politico del Carroccio è destinato a spostarsi verso il Veneto anche in un altro senso. La battuta d’arresto registrata a giugno non tanto sul piano dei numeri e del consenso (la Lega è passata da 66 sindaci ad oltre 90) quanto su quello del progetto politico, stanno facendo riflettere il segretario federale sulla necessità di chiudere una fase e sfruttare l’estate per prepararne un’altra. Di spostarsi dalla protesta alla proposta, di dare solidità ai contenuti, di affiancare la giacca alla felpa, diradando e mirando le apparizioni televisive (già oggi lo si vede meno in video). Dovremmo, insomma, essere alla vigilia di una Lega diversa, sempre anti-Ue e identitaria, ma matura per la stagione riformista, con una griglia di programmi concreti e differente stile di comunicazione: un po’ di sordina al populismo e ad un certo immaginario alimentato ad esempio dagli scontri con i centri sociali a favore di messaggi e toni rassicuranti. Un Salvini insomma in versione Zaia.
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