Gli scienziati inglesi smentiscono Crisanti: «Test rapidi più utili dei molecolari»

Domenica 9 Maggio 2021 di Angela Pederiva
Gli scienziati inglesi smentiscono Crisanti: «Test rapidi più utili dei molecolari»
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VENEZIA Il gold standard? In un'ottica di sanità pubblica, la diagnosi di riferimento non è rappresentata dal tampone molecolare, bensì dal test rapido: è la tesi sostenuta da The Lancet, in un commento agli studi scientifici sulla metodica antigenica. «L'analisi per aiutare a rallentare la diffusione di Sars-CoV-2 non chiede se qualcuno ha l'Rna (acido ribonucleico, ndr.) nel naso da un'infezione precedente, ma se è contagioso oggi», taglia corto la prestigiosa rivista britannica, proprio nelle settimane in cui in Veneto si è riacceso il dibattito sulle strategie della Regione.


IL CODICE GENETICO
L'articolo, che traduciamo dall'inglese, è firmato da Michael J.Mina (Harvard Medical School), Tim E. Peto (Università di Oxford), Marta García-Fiñana, Malcolm G. Semple e Iain E. Buchan (Università di Liverpool). Premessa tecnica: quella che comunemente è nota come Pcr, cioè Polymerase chain reaction (reazione a catena della polimerasi), è una tecnica di biologia molecolare che consente l'amplificazione dei frammenti di acidi nucleici che vengono individuati nel tampone inserito nelle narici e nella gola. «La Pcr sottolineano gli autori cerca il codice genetico del virus dai tamponi nasali o faringei e lo amplifica su 30-40 cicli, raddoppiando ogni ciclo, consentendo anche di rilevare copie minuscole, potenzialmente singole. La Pcr è quindi un potente test clinico, in particolare quando un paziente è, o è stato recentemente, infettato da Sars-CoV-2. I frammenti di Rna possono persistere per settimane dopo che il virus infettivo è stato eliminato, spesso nelle persone senza sintomi o esposizioni note. Tuttavia, per le misure di salute pubblica, è necessario un altro approccio».
Quale? Il test antigenico, che infilando il bastoncino nel naso, rileva la presenza del virus attraverso appunto i suoi antigeni e cioè le sue proteine, nel giro di pochi minuti. «È una perdita netta per il benessere sanitario, sociale ed economico delle comunità chiosano gli scienziati se gli individui post-contagiosi risultano positivi e isolati per 10 giorni.

Dal nostro punto di vista, l'attuale test Pcr non è quindi il gold standard appropriato per la valutazione di un test Sars-CoV-2 di sanità pubblica».


I GIORNI
La critica al test rapido, ribadita ad esempio dal professor Andrea Crisanti, è che abbia una troppo bassa capacità di risultare positivo se applicato a un soggetto infetto (la cosiddetta sensibilità), con il rischio quindi di lasciarsi scappare i falsi negativi. I ricercatori americani e britannici riflettono però sui tempi: «La maggior parte delle persone infettate da Sars-CoV-2 è contagiosa per 4-8 giorni. Generalmente non si trovano campioni contenenti virus positivi alla coltura (potenzialmente contagiosi) oltre il giorno 9 dopo la comparsa dei sintomi, essendo che la maggior parte della trasmissione avviene prima del giorno 5».
Non a caso i modelli osservati indicano un periodo di contagio che va mediamente da 2 giorni prima a 5 giorni dopo l'insorgenza dei sintomi. «La breve finestra di trasmissibilità annotano contrasta con una mediana di 22-33 giorni di positività alla Pcr (più lunga con infezioni gravi e un po' più corta tra gli individui asintomatici). Questo suggerisce che il 50-75% delle volte che un individuo è positivo alla Pcr, è probabile che sia post-infettivo». Dunque in una valutazione di salute pubblica, secondo gli autori «la sensibilità del test ideale di contagiosità se misurata rispetto alla Pcr può variare, lungo la curva epidemica, da un massimo del 50-60% quando un'epidemia è in aumento, al 20-30% o meno con la diminuzione delle infezioni».


IL PROGETTO
The Lancet cita al riguardo il modello di Liverpool, dove lo scorso 6 novembre il City Council ha lanciato un progetto pilota di test rapidi a tappeto che ha interessato la comunità, con particolare riguardo alle persone asintomatiche. Coinvolto nello sviluppo del sistema di tracciamento, il professor Buchan è arrivato alla conclusione che un buon piano, in grado di bloccare la diffusione del Covid, dovrebbe prevedere la somministrazione di test rapidi ogni tre giorni e quindi almeno due volte alla settimana, per le persone impegnate in ambienti a contatto con il pubblico e quindi a rischio contagio.
 

Ultimo aggiornamento: 10 Maggio, 08:55 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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