Massimo Cuomo: «Io, veneto bastardo, ora scrivo del Messico»

Martedì 25 Aprile 2017 di Raffaella Ianuale
Massimo Cuomo
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Non vuole essere solo uno scrittore del Nordest. Così dopo il successo di “Piccola osteria senza parole”, ambientato nella campagna di Portogruaro, per il suo nuovo romanzo ha pensato al Messico. Nessuna emulazione di grandi come Marquez o Mutis, solo voglia di ambienti inediti che gli permettano di raggiungere picchi surreali. «Sono nato a Venezia, ho frequentato le scuole a San Donà, ora abito a Portogruaro. Però sono figlio di meridionali. Quindi mi sento veneto, ma anche un po’ imbastardito. Per questo ho abbandonato la tranquilla ambientazione del Nordest» spiega Massimo Cuomo, 42 anni, in giro per l’Italia a presentare “Bellissimo”, Edizioni E/O, il suo terzo lavoro - dopo “Malcom” e “Piccola osteria” - uscito lo scorso 6 aprile. Il 4 maggio sarà alla Ubik di Mestre, il 6 alla libreria Coop di San Donà, il 15 a Verona, il 25 a Vicenza, il 26 a Venezia a Palazzo Grimani e via di seguito. Laureato in Scienze della Comunicazione, dopo un esordio come giornalista Cuomo ha puntato in alto alla scrittura narrativa.

Come nasce la voglia di scrivere?
«Quando collaboravo come giornalista dei miei articoli tagliavano le parti che a me sembravano più belle: quelle di scrittura. Da qui ho capito che quella del cronista non era la mia strada».

E il passaggio alla narrativa?
«Nel 2009 ho scritto un racconto e l’ho inviato a cinquanta case editrici. La figlia dell’editore Sandro Ferri, all’epoca ventenne, lo lesse e le piacque. E così ho iniziato e lei è ancora la mia editor per la casa editrice E/O».

Perché ha scelto proprio il Messico?
«Ho fatto un viaggio e in questo paese ho trovato l’ambientazione che volevo. Mi riconosco in questa terra e nella musica un po’ allegra e un po’ malinconica, proprio come la mia storia».

Narra di due fratelli.
«Sì, Santiago e Miguel, quest’ultimo è bellissimo. Di una bellezza che incanta tutti, straordinaria e questo mi ha permesso di raggiungere livelli surreali, sublimi, mitici».

Qualcosa di autobiografico?
«Certo! Quando avevo cinque anni è nato mio fratello Alberto, una vera bellezza di pupo. È luogo comune pensare che chi è bello abbia la vita facile. In realtà nel libro la bellezza è uno stratagemma per scavare... avere un fratello è un’opportunità».

A chi consiglia la lettura del libro?
«A tutti, i miei fratelli lo leggono ai miei nipotini Chiara e Alessandro e loro si addormentano. Non perchè sia noioso, intendiamoci, hanno solo 8 e 5 anni».

Quindi è una scrittura facile?
«Quando ho scritto il primo libro “Malcom”, ho pensato ai miei amici che leggono un libro all’anno ed ho puntato sulla comprensibilità. Qui ho fatto un grande lavoro stilistico. Avevo l’ambizione di arrivare ai lettori forti».

Chi è il primo lettore dei suoi scritti?
«A casa ho un editor personale, la mia fidanzata Diana. Quando ho scritto le prime cento pagine di “Bellissimo” gliele ho fatte leggere subito».

E cosa ha detto?
«Che era tutto da rifare, perché non funzionava. Ed aveva ragione».

A chi si ispira quando scrive?
«A nessuno, tra l’altro sono un lettore tardivo, ma il libro che mi ha fatto venir voglia di scrivere è “Due di due” di Andrea De Carlo».

Il commento più gradito per “Bellissimo”?
«Il giorno dell’uscita del romanzo ho ricevuto il messaggio: “Non ho mai sentito l’esigenza così forte di dire grazie”».

E di chi era?
«Di un libraio romano, quindi un lettore forte. Ed ora sto andando proprio da lui, nella sua libreria “Altroquando” dietro a Campo de’ Fiori, a presentare il mio libro».
Ultimo aggiornamento: 26 Aprile, 09:28 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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