«Save non finirà come le banche» L'utile netto 2016 cresciuto del 43,9%

Sabato 22 Aprile 2017 di Elisio Trevisan
Enrico Marchi
«Ho speso vent'anni della mia vita in quest'impresa. Perché? Perché amo la mia terra». Enrico Marchi ieri all'assemblea dei soci del gruppo aeroportuale Save, che presiede, e che ha approvato un bilancio 2016 in crescita e un dividendo di 38 milioni di euro, ha messo da parte per un momento i freddi numeri e si è lasciato andare per spiegare il motivo che lo ha spinto a non vendere tutto per pagare i debiti dell'ex socio Andrea De Vido, e a inventarsi un'operazione finanziaria che ha movimentato 1,7 miliardi di euro per mantenere il comando di Finint e di Save.

Al di là dei tecnicismi (ieri ha confermato che probabilmente si andrà al delisting, ovvero all'uscita di Save dalla Borsa come effetto dell'accordo con i francesi di InfraVia e i tedeschi Deutsche Asset Management fondo infrastrutturale di Deutsche Bank ma ha aggiunto che conta di farla rientrare presto in Piazza Affari) il finanziere Marchi è convinto che l'aeroporto di Tessera sia la sua creatura industriale, l'investimento che non è fatto di soldi che portano soldi ma di soldi che creano infrastrutture (sta spendendo 800 milioni di euro per ingrandirlo entro il 2021) e lavoro (1027 dipendenti diretti e 10 mila tesserini di accesso allo scalo che possono dare l'idea dell'indotto): nel giro di 17 anni ha trasformato un aeroporto più che altro turistico nel terzo scalo intercontinentale italiano che, quanto a passeggeri e introiti, cresce a velocità doppia della media italiana (15 milioni mettendo assieme Venezia, Treviso e Verona/Brescia, e un utile netto di 42 milioni con un balzo del 43,9% rispetto al 2015), e ha più dell'80% di passeggeri in partenza verso mete oltre oceano contro la media italiana che supera di poco il 60%.
 
A chi dice che questo gioiello finirà presto nelle mani dei fondi francesi e tedeschi e che a lui rimane meno della metà della quota che aveva in Save (Finint scenderà dal 33% al 12%), lui risponde che ha investito «una quota importante del mio patrimonio nell'operazione» e che «una cosa sono le azioni possedute, un'altra è la governance e questa rimarrà saldamente nelle nostre mani. Ad ogni modo nei prossimi quattro anni, salute permettendo, lavorerò per risalire nella partecipazione in Save e continuare a mantenerla unita al gruppo Finint, realtà con 750 persone leader della finanza a supporto dell'impresa».

I patti parasociali tra Finint e i due fondi stranieri, per l'acquisto del 60% di controllo di Save dalla stessa Finint e Morgan Stanley in modo da liquidare De Vido che deve pagare circa 100 milioni di debiti con le banche, prevedono che «la testa di Save rimanga in Veneto e non finisca a Roma o all'estero com'è invece avvenuto per le banche e altre realtà del territorio dove abbiamo qui le filiali di una testa che è a Milano, che è a Parigi o da altre parti» ha detto il presidente di Save. E la testa ha un nome e cognome, Enrico Marchi.

Se tutto va bene e ogni tessera del puzzle andrà al suo posto, la nuova società veicolo (BidCo, il nome definitivo lo stanno ancora decidendo e dovrebbe vedere Marchi presente con un 20%) governerà Save per i prossimi cinque anni, lanciando un'Offerta pubblica di acquisto per il restante 40% delle azioni. Opa che dovrebbe tenersi tra luglio e agosto e sulla quale aleggia ancora l'incognita Benetton: con Atlantia possiede il 21,291% di Save (acquistato l'anno scorso dal fondo Amber) e ieri, pur avendo depositato le azioni, non ha partecipato all'assemblea.

Ha perso interesse per Save? «Chiedetelo a lui» ha risposto Marchi che, alla successiva domanda sul perché non abbia fatto un accordo con il Gruppo italiano invece che con fondi stranieri, ha rivelato che «dovevamo cercare partner finanziari che condividano lo stesso approccio di Save nella pianificazione di investimenti a lungo termine e un'esperienza significativa negli investimenti in infrastrutture in ambito europeo. Il Gruppo Benetton sarebbe stato un partner industriale, ma siamo già noi un soggetto industriale, siamo noi l'eccellenza in questo campo».
Una poltrona per due, insomma, non piace a Marchi.
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