Sanità in "rosso" in molte regioni, ma il Veneto resta in utile. Due nodi: lo sforamento dei dispositivi medici e i "buchi" di specialisti

Domenica 28 Maggio 2023 di Angela Pederiva
Sanità in "rosso" in molte regioni, ma il Veneto resta in utile. Due nodi: lo sforamento dei dispositivi medici e i "buchi" di specialisti

VENEZIA - Ufficialmente l'emergenza Covid è passata, ma nei fatti la pandemia fa ancora sentire i propri effetti sui bilanci sanitari delle Regioni.

Il dato emerge dal "Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica", pubblicato in settimana dalla Corte dei Conti, secondo cui più di mezza Italia alla fine del 2022 è in rosso con un disavanzo complessivo di circa 1,47 miliardi di euro. Non il Veneto, però, che anzi si distingue a Nordest per un utile di esercizio pari a 7,1 milioni, mentre il Friuli Venezia Giulia registra una perdita di 89,5, poi corretta da ulteriori trasferimenti per 90,7.


L'AUTONOMIA
L'analisi evidenzia che il livello di autonomia incide sui risultati contabili: «Il peggioramento dei conti è da ricondurre soprattutto alle Regioni a statuto ordinario del Nord, che passano da un avanzo di 40 milioni del 2021 a un disavanzo di circa 178 milioni». Benché ancora in attivo, il risultato veneto è infatti in flessione, rispetto al periodo pre-pandemico: da 29,4 milioni nel 2019, a 5,7 nel 2020, a 9,8 nel 2021, fino appunto a 7,1 nel 2022. Fra le Regioni a statuto speciale, le perdite al Nord crescono del 7%, ma è al Sud che nel giro di un anno salgono da 179 a 376,2 milioni, «un peggioramento riconducibile essenzialmente al risultato della regione Sicilia», passata da un utile di 1,6 milioni a un disavanzo di 247,8.


LE USCITE E LE ENTRATE
Nel complesso aumenta la spesa sanitaria pro-capite al netto della mobilità, cioè l'ammontare delle uscite riferite alla popolazione residente nella regione. Mediamente a livello nazionale l'esborso nel 2022 è di 2.241 euro per cittadino (+2,2% rispetto al 2021) e il Nordest si posiziona al di sopra di quell'asticella: in Veneto 2.290 euro (erano 1.960 nel 2019) e in Friuli Venezia Giulia 2.414 (contro 2.180). Si accentua però il calo degli acquisti di beni, dopo il forte aumento rilevato nel 2020 con l'avvento del Covid.
In tema di esborsi, pesa il capitolo dei dispositivi medici, ora che è diventato effettivo il tetto con l'applicazione del cosiddetto payback, cioè l'obbligo per i fornitori di contribuire al superamento del limite effettuato dalle Regioni. Lo scostamento nazionale fra 2015 e 2018 è stato di circa 4,5 miliardi e il Veneto è una delle tre, insieme alla Toscana e alla Puglia, che assorbe il 40% dello sforamento: 499 milioni nel quadriennio, cioè l'11% del totale, di cui 232 milioni a carico delle aziende, la fetta maggiore del Nord; in Friuli Venezia Giulia lo sfondamento è di 275 milioni, pari al 6%, di cui 128 milioni addebitati alle imprese. Il fondo da 1,085 miliardi stanziato dal Governo vedrà entrare 121 milioni nelle casse venete e 67 in quelle friulgiuliane, per coprire il 52% della quota che grava sulle ditte, le quali dovranno però rinunciare ai contenziosi e saldare il restante 48% entro il 30 giugno.
Complessivamente in Italia crescono anche le entrate, al netto delle coperture e degli ulteriori trasferimenti per assicurare la copertura dei Lea dalle Regioni a statuto speciale: +1,47%. Gli incrementi risultano più consistenti a Nordest, in quanto sono superiori al 3% in Veneto, Trentino e Friuli Venezia Giulia. «Molto limitato il contributo offerto dai ticket sul Pronto soccorso», sottolinea la Corte dei Conti: dei 30,5 milioni incassati, poco meno del 60% è riconducibile a due sole Regioni quali il Veneto e l'Emilia Romagna, che assommano però "solo" il 16% della popolazione.


IL PERSONALE
Al di là dei dati finanziari, il "Rapporto" contiene poi un interessante approfondimento sulla stabilizzazione del personale sanitario, prevista dalla legge di Bilancio per il 2022. «Per il momento l'impulso che è venuto da tale processo sembra limitato», segnalano i magistrati contabili, considerando i primi sei mesi di operatività della norma. Per quanto parziali, i numeri dicono che a livello nazionale i 219 medici assunti a tempo indeterminato sono solo il 5% di quelli che ancora oggi prestano la loro opera in base alle norme dell'emergenza, mentre tra gli infermieri la quota è un po' più alta ma non supera comunque il 10%. Bisognerà attendere, avvertono gli analisti, per valutare «il permanere di elementi di rigidità nei tetti alla spesa di personale».
Peraltro nonostante la proroga di alcune misure e la possibilità di stabilizzare gli operatori sanitari, «nel 2022 si sono rese sempre più evidenti le carenze di organico, specie in alcune strutture», come il Pronto soccorso. Secondo lo studio del gruppo di lavoro istituito da Agenas, sulla base delle informazioni fornite da 9 Regioni, emerge che in Italia mancano circa 2.500 specialisti in Medicina d'emergenza-urgenza. Il calcolo vede in Veneto una dotazione effettiva di 507 camici bianchi, a fronte però di un fabbisogno stimato di 751, per cui la carenza è di 244; in Friuli Venezia Giulia la disponibilità è di 159, la necessità di 207 e la mancanza di 48. E l'aumento delle borse di specializzazione non basta, ammonisce la Corte, in quanto va considerata pure «la riduzione di interesse dei neolaureati per questa disciplina, per il maggior carico di lavoro rispetto alle altre specializzazioni, per gli orari di lavoro particolarmente pesanti, per le aggressioni aumentate negli ultimi anni e per la retribuzione considerata insoddisfacente».
 

Ultimo aggiornamento: 18:21 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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