Il Veneto ricorre alla Consulta:
«Adriatico, no alle trivellazioni»

Venerdì 16 Gennaio 2015 di Daniela Boresi
Il Veneto ricorre alla Consulta: «Adriatico, no alle trivellazioni»
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La Regione lo aveva detto dall’inizio: trivellare l’Adriatico per estrarre gas significa mettere a repentaglio uno dei beni maggiori del Veneto, il territorio e di conseguenza il turismo che affolla le coste. Una levata di scudi che si è concretizzata con un ricorso del cosiddetto "Sblocca Italia" davanti alla Corte Costituzionale. Il pericolo dietro l’angolo si chiama "subsidenza" ed è in buona compagnia, assieme all’incertezza di guadagni e rischi per il turismo.



Il presidente Zaia va giù duro «le disposizioni nazionali, calpestando tutte le competenze regionali in materia di governo del territorio, turismo, protezione civile, salute, produrranno irrilevanti benefici economici e sociali ed elevati pericoli ambientali per il territorio italiano, già caratterizzato da rilevanti rischi geologici e ambientali».

Il ricorso del Veneto è "concentrato" in 49 pagine nelle quali la regione sottolinea come alla fine si "favorisca così una nuova e irragionevole colonizzazione del territorio e del mare italiano da parte dell’industria petrolifera". Il vero nodo è infatti questo. L’apertura alle trivellazioni aveva già alimentato l’appetito dei colossi petroliferi che (di qua e di là delle acqua territoriali) vedono nell’Adriatico una miniera di materia prima. «Mettiamo a rischio aree di pregio naturalistico e paesaggistico e fiorenti attività economiche legate al turismo e alla pesca, con lo scopo di estrarre idrocarburi di dubbia qualità che agli attuali tassi di consumo, valutate le riserve certe a terra e a mare censite dal Ministero dello Sviluppo Economico a sottolinea Zia a, potrebbero coprire il fabbisogno nazionale per un periodo brevissimo». Sui fondali marini infatti esistono circa 10 milioni di tonnellate di petrolio di riserve certe che, stando ai consumi attuali, coprirebbero il fabbisogno nazionale per soli 2 mesi. Quanto alle ricorse di gas presenti nei fondali, ammontano complessivamente a 33,1 miliardi di Gmc (ogni Gmc è un miliardo di metri cubi di gas), a fronte di un fabbisogno annuo di oltre 70 miliardi di Gmc. Di fatto le scorte si esaurirebbero in meno di sei mesi. Oltretutto, ed è un altro dei punti sul quali poggia il ricorso del Veneto, cancellando i divieti normativi attualmente in vigore in queste zone, con il decreto si legittimano soprattutto le trivellazioni nella fascia dell’Adriatico davanti a Venezia, aree decisamente fragili e con non pochi problemi di stabilità. «E questo – sottolinea Zaia - senza che sia mai stata accertata l’assenza di rischio di subsidenza delle coste. Anzi è accertato il contrario: la Regione del Veneto ha stanziato risorse per fronteggiare il fenomeno dell’abbassamento dei terreni in Polesine. Legittimare le trivellazioni nell’Adriatico in zone sensibili come Venezia è pura follia!». Secondo i dati Arpa, ad esempio, nel litorale ravennate, dove è presente una intensa attività estrattiva offshore, presenta abbassamenti fino a 5 millimetri-anno, con alcune aree più critiche, come quelle corrispondenti alle foci dei fiumi, dove l’abbassamento è di 20 millimetri.



Tanti rischi e pochi vantaggi, secondo la regione che prevede che le trivellazioni alla fini non portino alla casse di Palazzo Balbi neppure un euro. «Sono disattesi anche principi comunitari - aggiunge Zaia - Come quello di precauzione, attraverso la legittimazione di attività economiche in assenza di una certezza scientifica e di prove sufficienti a dimostrare che non c’è un nesso causale tra l’esercizio delle attività e gli effetti nocivi sull’ambiente e sul territorio».
Ultimo aggiornamento: 09:24 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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