Maria Cristina Piovesana: «Quote rosa? Donna o uomo, deve valere il merito»

Domenica 18 Agosto 2019 di Alda Vanzan
Maria Cristina Piovesana, presidente di Assindustria Venetocentro
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Da piccola Maria Cristina Piovesana voleva fare la parrucchiera. In realtà l'incontro con i bigodini non si è mai avverato e quando ha finito il liceo linguistico a Oderzo, incerta tra Lingue, Storia e Filosofia, si è sentita chiedere dal padre: perché non vieni qua? Qua era A.L.F. Uno, un'azienda nata nel 1951 come cooperativa artigiana: «Mio padre aveva cominciato a lavorare lì molto giovane come operaio, poi quando i soci hanno deciso di vendere, è subentrato con suo fratello». All'epoca producevano manufatti in legno, mestoli e tavole da mettere sui fossi per lavare i panni. Adesso la società ha tre sedi, è specializzata in arredamento per la casa ad alto tasso di tecnologia, ha 306 collaboratori più 2mila nell'indotto, nel 2018 ha fatturato quasi 80 milioni di euro e per l'80 per cento si tratta di prodotti che finiscono all'estero. Maria Cristina Piovesana è la presidente di questa società, anche se immediatamente precisa: «In azienda ci sono mio marito Flavio Da Frè e mio fratello Piero, il loro operato è fondamentale». Ed è anche grazie a loro se riesce a occuparsi d'altro. Trevigiana, 54 anni, mamma di Eleonora e Giovanni, Maria Cristina Piovesana è stata presidente di Unindustria Treviso e dallo scorso giugno guida Assindustria Venetocentro, l'associazione che ha messo assieme gli industriali della Marca e di Padova e che punta a essere il cuore di un raggruppamento metropolitano assieme a Venezia. E anche qui è un po' una tradizione di famiglia: pure suo padre Oliviero, prematuramente scomparso nel 2010 in un incidente in azienda, è stato attivo in Confindustria.
Cosa c'era ieri di diverso per un giovane che cominciava a lavorare in azienda?
«C'era un mondo da scoprire. E fiducia verso il futuro. Oggi siamo bombardati da notizie e soprattutto notizie negative».
Lei produce mobili. Com'è la sua casa?
«Molto pratica. Colori naturali, luminosa, calda».
Chi deve decidere l'arredamento: l'architetto o il cliente?
«Il cliente deve dare la sua impronta, ma se c'è anche un professionista si riescono a trovare soluzioni migliori».
Una donna al vertice degli industriali, non è usuale. Si fa chiamare presidente o presidentessa?
«Io sono la presidente. Il linguaggio di genere non mi piace, non è questo che fa cambiare le cose. Così come sbagliano quelle donne che scimmiottano l'atteggiamento maschile».
Le quote rosa?
«Sono state utili, dopodiché ci deve essere sostanza. Preferisco un uomo capace che una donna incapace. Ma avremo raggiunto lo scopo nel momento in cui scompariranno. Deve valere la meritocrazia: i migliori nei posti giusti. E invece vediamo che certi ruoli sono ricoperti da persone che non hanno né esperienza né competenza».
Ad esempio?
«Se guardo a chi occupa il ministero dello Sviluppo economico, uno che non ha mai lavorato...».
Cosa pensa della politica?
«È fondamentale perché è la guida e la visione del paese, anche verso l'estero. Purtroppo in questi ultimi anni non ha dato una bella immagine di sé. È anche perché, a furia di tweet, si cerca il consenso ogni giorno. Mentre secondo me la politica dovrebbe dire non solo le cose comode, ma anche quelle scomode. E conseguentemente agire prendendosi la responsabilità di decisioni impopolari. Faccio un esempio: stiamo andando verso una popolazione sempre più anziana e rischiamo che buona parte delle decisioni siano influenzate dagli anziani. Che significa una scarsa attenzione verso i giovani».
Cosa pensa di quota 100?
«Sta creando problemi non banali. Nella pubblica amministrazione, dove per anni sono state bloccate le assunzioni, stanno andando in pensione tante persone che hanno esperienza. Se non c'è pianificazione si rischia di fare danni. Io mi limito a registrare i dati e i risultati. E sono dati e risultati che preoccupano».
La stupisce che il reddito di cittadinanza in Veneto non abbia avuto successo?
«No e dimostra che c'è un'Italia divisa in due. Da noi c'è la cultura del lavoro. È il messaggio che è sbagliato: di fatto si dice non preoccuparti, qualcuno pensa a te, invece in Italia, quantomeno al Nord, il lavoro c'è, si potevano accompagnare le persone dal Meridione a venire a lavorare qui».
Si aspettava la crisi di governo?
«Era abbastanza chiaro che il governo M5s-Lega era in difficoltà, anche se un epilogo di questo genere non era scontato».
Meglio andare al voto o formare un altro governo?
«Non so se sia meglio un nuovo governo o, diciamo, un governo del Presidente, ma so quali sono le priorità: Iva, sviluppo, crescita, occupazione, perché la locomotiva-Italia ha rallentato. La preoccupazione è alta. Non è il momento delle tifoserie, lasciamo lavorare chi ha responsabilità istituzionali, dal presidente della Repubblica alle forze politiche. Serve senso di responsabilità».
Le hanno mai chiesto di candidarsi?
«Sì, ma non è il mio mestiere».
Cosa pensa della fuga di cervelli?
«È un processo verso il quale non possiamo non essere sensibili. Il nostro Stato investe tanto nella formazione dei nostri giovani, che poi sono molto apprezzati all'estero. Serve una riflessione sui motivi per cui se ne vanno. Ma non c'è solo questo».
Dica.
«Tre sono i temi che stiamo portando avanti e che mi stanno a cuore. Uno è riuscire a far capire che qui, nel nostro territorio, c'è tanto da fare: abbiamo aziende eccellenti, siamo la seconda manifattura europea, eppure i ragazzi non lo sanno. Non abbiamo orientato a sufficienza i ragazzi verso gli istituti tecnici, chi li frequenta oggi troverebbe subito lavoro. Se si pensa che in Veneto la disoccupazione è al di sotto del 6% e in Emilia è intorno al 3% significa che disoccupazione non ce n'è. Il secondo tema è la demografia, argomento che sento particolarmente come donna, imprenditrice e madre: è necessario che le giovani coppie trovino il coraggio di avere bambini, non più come scelta individuale ma come fattore sociale. Il terzo tema è l'area metropolitana: noi a livello confindustriale abbiamo messo insieme Treviso e Padova, ora stiamo dialogando con Venezia e Rovigo: l'idea è di un nuovo polo dove i giovani possano trovare non solo lavoro, ma anche servizi, opportunità. Al mondo ci sono 50 metropoli, in Italia c'è solo Milano. Stiamo lavorando per sviluppare la PaTreVe».
Il suo luogo elettivo?
«Più che in un luogo, io sto bene assieme alle persone, mi piace la compagnia, la comunità».
Un aggettivo per descrivere suo marito?
«È una persona di grande cultura, molto curioso, direi il compagno ideale».
Vi siete sposati nel 1990, è vero che non avete festeggiato le nozze d'argento?
«Vero. Mi ricordo le nozze d'argento dei miei nonni, mi sembravano così anziani».
L'ultimo libro che ha letto.
«Il Premio Comisso, Il gioco degli dèi di Paolo Maurensig».
Un capo di abbigliamento che non indosserebbe mai.
«Le ballerine. Per due motivi: il primo è che sono piccolina, il secondo è che non riesco a camminarci».
Il regalo più costoso ricevuto.
«L'orologio regalatomi da mia mamma quando sono diventata presidente di Unindustria Treviso».
Meglio un rimpianto o un rimorso?
«Nella mia vita ho sempre cercato di non avere rimpianti, significherebbe non aver vissuto pienamente. Rimorsi sì, ma sbagliare è umano».
Alda Vanzan
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Ultimo aggiornamento: 12:05 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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