Pian delle Parole, la frontiera dei tre antichi Stati: il cippo Stato veneto 1770 e i commerci della Serenissima

Martedì 13 Ottobre 2020 di Alessandro Marzo Magno
Un cippo dello Stato veneto sul pendio di Pian delle Parole
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Viaggio nel suggestivo Pian delle Parole sulle Alpi Orobie, a 2157 metri di altitudine, dove alcuni cippi ricordano le frontiere di tre antichi regimi: la Serenissima, il ducato di Milano e i Grigioni svizzeri.

Ed è stato soprattutto con gli elvetici che Venezia ebbe un legame profondo fatto di scambi commerciali, militari e di presenza attiva in laguna

LA STORIA Il cippo di pietra sulla faccia che si rivolge a ovest, verso la Val Biandino e poi, allungando lo sguardo, alle lontane cime innevate del massiccio del monte Rosa, ha scritto: «Stato di Milano». Dalla parte opposta, sulla faccia che guarda in direzione est, verso la Valbrembana, è inciso «Stato veneto 1770». Siamo al Pian delle Parole, un declivio erboso a 2157 metri di altitudine; quattrocento metri più in alto svetta la cima del Pizzo dei Tre Signori, la montagna più alta di questa porzione delle Alpi Orobie. Non è un fatto strano che lungo le selle alpine corressero i confini, meno usuale invece che qui di confini se ne incrociassero ben tre: quello della Serenissima repubblica con il ducato di Milano e, oltre la cima del monte, con i Grigioni, e quindi la Svizzera. Tre stati, quindi tre signorie e proprio a questo la montagna deve il suo nome. La Valtellina è stata dominio del cantone svizzero dei Grigioni dal 1512 al 1797 e di conseguenza Venezia, da poco dopo la formazione dello stato da Tera, si è trovata a confinare direttamente con la Confederazione elvetica. Sarà il generale Bonaparte a sparigliare le carte: nel 1797 da un lato provoca la caduta della repubblica di San Marco e dall'altro stacca la Valtellina dai Grigioni per unirla alla repubblica Cisalpina, trasformando così i valtellinesi da svizzeri in italiani.

GLI ANTICHI STATI I confini degli stati di antico regime erano spesso mal segnalati e nel Settecento la Serenissima cercò di rimediare sottoscrivendo trattati e promuovendo varie conterminazioni: le più importanti di tutte erano quelle con l'Austria perché la Repubblica condivideva la maggior parte dei confini con la monarchia asburgica: in Dalmazia, in Istria, in Friuli, in Veneto e dal 1706 anche in Lombardia, il leone alato fronteggiava l'aquila a due teste. Sono state posate numerose pietre confinarie, anche in luoghi molto impervi e poco frequentati, come il Pian delle Parole. Il Pizzo dei Tre Signori è uno dei punti più lontani dalla Dominante e si trova all'incrocio di numerose valli alpine. La Val Biandino, valle laterale della Valsassina, milanese, la Valtellina, svizzera, la Valtorta che sbocca nella Valbrembana, veneziana. Lungo questa valle il podestà veneziano di Bergamo, Alvise Priuli, nel 1593 fa costruire una via lunga una settantina di chilometri che prende il suo nome, Priula, e che unisce direttamente Bergamo a Morbegno, in Valtellina, transitando per i 1900 metri del passo di San Marco, posto di confine tra la Serenissima e i Grigioni. Se poi si vuol unire qualche ulteriore elemento di interconnessione si può dire che la parrocchia di Valtorta, pur trovandosi nella diocesi di Bergamo, è rimasta fedele, e lo è ancora ai nostri giorni, al milanese rito ambrosiano.

MAGNIFICA VISTA Dal cippo confinario del Pian delle Parole si gode di una vista sconfinata, nella giornate limpide si vedono, come detto, le Alpi piemontesi, con il massiccio del Rosa, spostando lo sguardo si scorgono la Grigna e il Resegone, ai loro piedi la pianura lombarda e, più in là, le cime dell'Appennino emiliano. Verso nord ecco una distesa infinita di cime in direzione della Svizzera. Rimanendo più vicini, sul versante bergamasco si susseguono cime tondeggianti e coperte di prati, in un paesaggio verdissimo, nonostante l'altitudine; un migliaio di metri più in basso, si scorge l'abitato di Valtorta. L'accesso al Pizzo dei Tre Signori è dato dal rifugio Cesare Grassi, che si trova a poco meno di duemila metri di altitudine, subito al di qua della sella che divideva lo stato veneziano da quello milanese (infatti, seppur di poco, è in provincia di Bergamo).

L'ANTICA MINIERA Subito sopra il rifugio una montagna di detriti indica dove si trovasse la miniera del Camisolo: un giacimento di galena, minerale dal quale si estraevano piombo (tanto) e argento (decisamente meno). Sfruttata fin dal 1297 dai vescovi di Bergamo e di Milano, ai quali era stata infeudata, la miniera interessava soprattutto per l'estrazione dell'argento, resa anti economica dall'arrivo dell'argento americano nel corso del XVI secolo. La mancanza di residui di polvere da sparo, utilizzata nella coltivazione delle miniere a partire dal Seicento, fa ritenere che la miniera del Camisolo sia stata abbandonata. Ma l'attività estrattiva è ripresa nel 1862, a interessare questa volta era soprattutto il piombo. A inizio Novecento viene rilevata da una società britannica, The Camisolo Mines Limited, che dopo una prima sgrezzatura del minerale sul posto, lo manda in Inghilterra per la raffinazione, quindi torna in auge durante l'autarchia di marca fascista e chiude definitivamente negli anni Sessanta del Novecento, in seguito al crollo del prezzo del piombo.

LA VIA PRIULA L'ingresso della miniera, al di sopra del cumulo di detriti, è utilizzato di gestori del rifugio Grassi come frigorifero naturale. La via Priula, che si snoda ai piedi del Pizzo dei Tre Signori, era un'importante arteria di traffico commerciale e non solo tra Venezia e la Svizzera. Ci passavano i giovani che andavano a studiare a Padova, grazie alla tolleranza della Serenissima nei confronti dei protestanti, tanto per dire il grigionese Thomas von Schauenstein dal 1583 al 1585 è stato rettore della facoltà di diritto. Gli scambi commerciali erano intensi: dalla Svizzera arrivavano a Venezia bestiame da macello grigionese, formaggio engadinese e vasellame in pietra ollare di Piuro; sale e cereali, invece, risalivano dal mare verso le località alpine. Nel 1570 era stato sottoscritto un trattato commerciale tra la Serenissima e i Grigioni che nel 1603 diventa un vero e proprio trattato di alleanza politica e commerciale e rimane in vigore per un secolo e mezzo. Per il passo San Marco transitano migranti e militari. A Venezia vive una comunità svizzera stabile che va dalle 3 mila alle 6 mila persone; reggimenti arruolati in Svizzera combattono in Dalmazia e nella guerra di Morea, anche con esiti tragici.

LA COLONIA SVIZZERA Il colonello Sebastian Peregrin Schmid, di Uri, arriva in nel 1687 in Grecia con 2500 uomini per combattere contro gli ottomani a fianco di Francesco Morosini, ma nel 1691 tornano a casa in 200 soltanto. La presenza svizzera a Venezia, intanto, cresce: nel 1704 i grigionesi posseggono 95 pasticcerie su 104, e nel 1773 annoveravano 75 venditori di acquavite su 100 e 23 arrotini su 39. A seguito di un intensificarsi delle relazioni tra Svizzera e Austria, il trattato con Venezia non viene rinnovato e nel 1766 devono andarsene 3 mila mercanti e artigiani grigionesi. La presenza elvetica, però, non viene cancellata: per esempio Jacopo Morelli, uno dei più importanti direttori di sempre della biblioteca Marciana, era di famiglia svizzera.

Ultimo aggiornamento: 09:08 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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