Fu così che Pio XII scampò alla follia dei nazisti

Sabato 5 Settembre 2020 di Carlo Nordio
Fu così che Pio XII scampò alla follia dei nazisti
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La mattina 13 del settembre 1943 l'Obergruppenfuhrer Karl Wolff fu chiamato urgentemente a rapporto da Hitler. Wolff era il braccio destro di Himmler, il capo delle SS, e ne conosceva (anche se nelle memorie del dopoguerra lo negò) tutti i misfatti, compreso lo sterminio degli ebrei. Malgrado il suo cinismo, l'ufficiale uscì dal colloquio intimorito e sconcertato.

LE TRAME
Perché il Fuhrer, convinto che il Papa avesse tramato per rovesciare Mussolini e che il Vaticano fosse «un nido di spie», gli aveva ordinato di predisporre un piano urgente e segreto per il rapimento di Pio XII. Wolff, che nutriva già forti dubbi sulla vittoria della Germania, pensava che una simile iniziativa avrebbe provocato disordini e forse rivolte armate. Ma temeva anche che la sua sorte, già ampiamente compromessa dalla sua alta carica, sarebbe stata definitivamente segnata se si fosse macchiato di un crimine tanto odioso. Così mentre assicurava il suo capo di mettersi subito al lavoro, fece in modo che la notizia arrivasse a Roma. 

La gestione e l'esito di questo progetto sono stati descritti con dovizia di particolari da Dan Kurzman nel suo A special Mission pubblicato tredici anni fa e purtroppo mai tradotto in italiano. L'aspetto che invece ci era ignoto era la reazione della Santa Sede davanti a una simile iniziativa. Ora la lacuna viene colmata da un avvincente volume di Cesare Catananti, Il Vaticano nella tormenta, che utilizza una serie di documenti inediti della Gendarmeria e della diplomazia pontificia . Il professor Catananti è un illustre medico, già direttore generale del policlinico A.Gemelli, che qui si rivela anche uno storico scrupoloso e imparziale. Valendosi dell'accesso agli archivi riservati, ha potuto ricostruire, come scrive nella prefazione Andrea Riccardi, lo spazio del Papa durante la guerra e l'occupazione nazista di Roma. Il libro ne considera vari aspetti, dai rapporti con le legazioni straniere ospitate intra moenia fino all'accoglimento, nei palazzi garantiti dall'extraterritorialità, di politici italiani, di ebrei, di militari inglesi evasi dai campi di prigionia e di disertori tedeschi. Naturalmente l'episodio del rapimento costituisce la novità più sostanziosa. 

IL PIANO
Torniamo al generale Wolff. Il suo progetto di attuare il piano di Hitler cercando al tempo stesso di sabotarlo, trovò dei preziosi alleati in due diplomatici tedeschi: l'ambasciatore presso la Santa Sede, Ernst Von Weizsacker, e il console a Roma Eitel Moellhousen. Quanto ad Albert Kesselring, massima autorità militare in Italia, era nota la sua riluttanza a ogni operazione che distogliesse truppe dal fronte e minasse la sicurezza delle retrovie. Fosse o meno a conoscenza del progetto di rapimento, il rude feldmaresciallo non lo avrebbe certo favorito. Wolff doveva solo guadagnare tempo, in attesa che Hitler cambiasse idea.
Il Vaticano, con la sua abile e capillare diplomazia, era in realtà consapevole di questo rischio ancor prima che Wolff venisse chiamato da Hitler, e aveva già deciso il comportamento da tenere. 

LA DOCUMENTAZIONE
Qui l'opera di Catananti si rivela davvero preziosa, perché riporta la documentazione ufficiale sulla protezione del Papa. Pio XII aveva infatti scartato due ipotesi ritenute incompatibili con la sua carica: fuggire accettando l'offerta del governo spagnolo, e opporre, in caso di invasione, una resistenza armata. Decise di restare al suo posto, e di farsi trascinar via solo con la costrizione fisica. Proprio per dimostrare l'opposizione a questa prevaricazione non solo sacrilega, ma contraria al diritto internazionale, furono emanate istruzioni che val la pena di citare testualmente: «Qualora, per deprecata ipotesi, venissero sopraffatti gli uomini adibiti alla difesa delle porte di accesso al Palazzo Apostolico, tutti i militari agli ordini dei rispettivi superiori, raggiunto l'appartamento pontificio, unitamente alle Guardie Nobili faranno scudo con il proprio corpo alla Sacra ed Augusta Persona del Sommo Pontefice». Una difesa meramente passiva, a differenza di quella di Pio IX che, sia pure simbolicamente, aveva ordinato il fuoco alla breccia di Porta Pia. 

Per fortuna non ce ne fu bisogno. Wolff continuò nella sua duplice opera di organizzatore e sabotatore, e con Hitler toccò le corde cui il Fuhrer era più sensibile: il rapimento del Pontefice avrebbe aumentato il potere e il prestigio della resistenza comunista anche tra i a cattolici tedeschi, mentre un Papa neutrale, e non apertamente ostile, avrebbe meglio garantito sia il fronte interno che quello militare. Per ottenere questo scopo, era tuttavia necessario che Pio XII non denunciasse pubblicamente i crimini del nazismo, soprattutto la deportazione e lo sterminio degli ebrei che a Roma iniziò con la retata del ghetto il 16 ottobre. Secondo Kurzman questo fu uno dei motivi per cui il Papa restò silenzioso. Un silenzio che gli consenti di salvare migliaia di ebrei rifugiatisi nei conventi e nei palazzi vaticani. 

L'INCONTRO
L'astuzia di Wolff ebbe successo. In un ennesimo incontro, a metà Dicembre del 43, Hitler sembrò convincersi che il rapimento del Papa andava quantomeno differito. Nel frattempo gli alleati avanzavano e il 5 giugno, in una Roma liberata, Pio XII apparve solennemente dal balcone di San Pietro a una folla enorme. Pochi giorni prima, con l'intermediazione di Virginia Bourbon del Monte, madre di Gianni Agnelli, aveva ricevuto in gran segreto Karl Wolff, che ne aveva accettato la benedizione.

Gli storici, come è noto, si sono divisi sul giudizio nei confronti di Papa Pacelli. I critici sostengono che di fronte alle atrocità del nazismo avrebbe dovuto pronunciare un'aperta e severa condanna; i sostenitori rispondono che Hitler non solo si sarebbe infischiato della scomunica, ma che avrebbe reagito perseguitando milioni di cattolici e scovando le migliaia di ebrei che si erano rifugiati nei conventi e nelle chiese. È comunque significativo che le difese più energiche del Papa furono assunte proprio da politici e storici israeliti, da Golda Meir a Martin Gilbert. Il numero e la qualità dei riconoscimenti per l'opera di Pio XII furono riassunti già 50 anni fa da Pinchas Lapide, professore all'Università di Gerusalemme, che nella sua Roma e gli ebrei fece definitivamente giustizia delle maligne illazioni sul silenzio del Pontefice. Per la sua meritoria opera di conciliazione tra le due religioni, Lapide fu insignito nel 1993 della Croce al merito di Germania. L'onorificenza gli fu conferita dal Presidente Richard von Weizsacker, figlio dell'ambasciatore che aveva contribuito, sia pure con le cautele del caso, a evitare il rapimento del Papa. 
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