Crepet: «Godego e Vidor, effetto imitazione tra le due tragedie. Più suicidi per la pandemia»

Lunedì 22 Febbraio 2021 di Raffaella Ianuale
Lo psichiatra Paolo Crepet
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«Sembrano simili, almeno negli esiti finali, ma quando si va a scavare queste storie sono sempre diverse. Però l'emulazione, sicuramente, può avere avuto il suo peso». L'emulazione, per lo psichiatra padovano Paolo Crepet, potrebbe aver influito sulla vicinanza temporale dei due drammi di Treviso.

Il papà che a Castello di Godego ammazza il figlio di 2 anni e si toglie la vita, può essere stato emulato poco dopo dalla mamma che a Vidor si lancia dal ponte con il piccolo di un anno e mezzo in braccio.

Perché un genitore può arrivare a tanto? «Di fondo c'è un grande egoismo e non voglio che questo termine venga visto negativamente. Il genitore è convinto che i figli gli appartengano. E poi c'è la totale sfiducia su chi dovrebbe aiutare, a partire dallo Stato».

Come sfiducia negli aiuti? «In queste storie c'è un elemento comune: l'enorme solitudine. Negli ultimi trent'anni abbiamo corso come locomotive e in generale stiamo meglio, però siamo più soli. Un tempo eravamo tutti più poveri, ma ci sentivamo uniti come se fossimo nella stessa barca».

L'aver scoperto che il figlio è autistico può essere una giustificazione per uccidere? «Qui potrebbe subentrare l'ignoranza. Ci sono bambini autistici meravigliosi. Non ci troviamo di fronte ad una malattia che provoca dolore fisico, anzi il bambino non ha alcuna sofferenza, forse ce l'ha il genitore perché vede il proprio figlio diverso dagli altri».

La depressione della mamma che si è gettata che peso ha? «Una donna che soffre di depressione, tanto più se è stata diagnosticata, non va mai lasciata sola con un bimbo così piccolo. Ho visto molti drammi come questi, anzi se qualcuno si riconosce in queste circostanze, dico ai familiari di non lasciare il piccolo da solo con un genitore depresso. Torna anche qui il tema della solitudine».

In che senso? «Siamo tutti di corsa: non c'è più l'amica che ti ascolta, il parente che ti dedica tempo, è venuto meno anche il supporto che un tempo offriva la chiesa. E quando succedono questi drammi ci si limita al commento mi spiace tanto e si continua come prima».

Come influisce la pandemia? «La pandemia sta accentuando situazioni come queste, perché la solitudine si moltiplica. E anche i suicidi. Inoltre è venuto meno il proprio orizzonte, se in più si è perso il lavoro o si è litigato in casa... non siamo abituati a convivenze così forzate, le case sono diventate pagliai che possono prendere fuoco».

Queste tragedie sono raptus? «No, mai. Non decidi lunedì di ammazzarti e lo fai martedì. Le persone danno sempre segnali. Il problema è se chi gli è vicino è in grado di leggerli».

Quali segnali lanciano? «A volte sono semplici e vengono sottovalutati: di solito c'è una stanchezza del vivere. La persona può dire frasi come ma cosa ci faccio io in questa vita? oppure la mia vita non ha un senso. Lo so che sono espressioni che si sentono spesso e quasi mai si finisce in tragedia, però bisogna in ogni caso prestare attenzione».

Cosa dire ai familiari? «Non devono lanciarsi colpe uno con l'altro. Bisogna stare vicini a loro».

E il bimbo sopravvissuto alla mamma che si è lanciata nel vuoto con lui in braccio? «Per fortuna è piccolo: questo lo aiuta perché non ricorda. Avrà bisogno di tanto amore e di una figura femminile di riferimento». 

Ultimo aggiornamento: 1 Febbraio, 13:20 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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