Turismo fluviale in ginocchio, Rudy Toninato: «Abbiamo perso tutto: finora fatturati 13 mila euro contro i 700 mila di un anno fa»

Lunedì 1 Giugno 2020 di Edoardo Pittalis
Turismo fluviale in ginocchio. Rudy Toninato: «Abbiamo perso tutto: finora fatturati 13 mila euro contro i 700 mila di un anno fa nello stesso periodo»
Per Rudy Toninato la Fase Due corre sul fiume, sul Grande Fiume. «Se non ci muoviamo, moriamo. Tanti si lamentano, noi ci siamo rimessi in moto: ora è da capire come farcela a riprendere un livello dignitoso. Il problema è trovare una parvenza di futuro, non tanto tornare subito a una pseudo normalità. È difficile oggi gestire turismo, con le barche posso portare le persone, posso fare tutto con il distanziamento, ma non posso farle scendere a terra perché rischio la multa per assembramento! Se ci danno la possibilità di riavere i turisti ci risolleviamo. Sarà importante la tempestività dei rimborsi e degli aiuti».

La via dei fiumi può riportare una parte del turismo. La Deltatour con una flotta di 11 imbarcazioni trasporta ogni anno 100 mila turisti di tutto il mondo sul Po da Mantova al Polesine, a Venezia e sulle vie d'acqua del Veneto. Il fatturato è di 2 milioni e mezzo di euro; cinquanta dipendenti tra fissi e stagionali, piloti, guide, chef. A guidare l'azienda è Rudy Toninato, padovano, 52 anni, tre figli. «Con la mia compagna Silvia dovevamo sposarci in agosto, la festa è rinviata all'anno prossimo. Ma forse a luglio ci sposeremo in municipio, accompagnati dai figli».

Com'è la situazione in questo momento?
«C'erano 16 crociere già assicurate, quasi esclusivamente americani. Eravamo pronti alla grande, all'8 marzo avevamo già 16 mila persone prenotate. Abbiamo perso tutto: finora abbiamo fatturato 13 mila euro contro i 700 mila di un anno fa nello stesso periodo. Abbiamo appena fatto la prima gita con gli agenti di viaggio, tutti distanziati, tutti con la mascherina. Dal Castello del Catajo a Padova: tutto bene fin che si stava a bordo, ma non si poteva scendere a terra. Senza la possibilità di riavere i turisti ci sarà lo sfaldamento di un intero settore. Solo a Venezia ci sono 300 taxi più alcune centinaia di società di navigazione. Il Veneto dal Lago di Garda al Delta del Po ha un migliaio di aziende del settore. C'è traffico nei nostri fiumi, un traffico importante. L'associazione nazionale delle società di navigazione registra 25 milioni di passeggeri. Per avere un'idea: l'Actv a Venezia ogni anno porta 28 milioni di passeggeri».

C'è qualcosa che si può fare subito?
«Risolvere il rapporto difficilissimo con le istituzioni, come imprenditore mi sento un po' maltrattato da questo sistema. Ci hanno mancato un po' di rispetto, abbiamo sempre pagato contributi e tasse, quando c'è da prendere lo Stato ci trova subito, quando deve dare, invece, dimentica l'indirizzo. Abbiamo voglia di ricominciare: sono risalito a bordo e non vedevo l'ora di navigare, di riappropriarmi del lavoro, anche di quello di capitano».

Quando è nata la Deltatour?
«È partito mio papà Mario, dopo aver lavorato a lungo con una ditta di costruzioni in giro per l'Italia. Si è messo a fare il carpentiere metallico a Camin, alle porte di Padova. Nel 1968 ha gettato le basi del capannone e nello stesso anno sono nato io. Aveva una grande passione per la pesca, amava i fiumi e il mare. Nel 1974 ha incominciato a costruire la sua prima barca e ha trasformato la piccola impresa in una carpenteria metallica e navale; ha subito intuito che la barca di ferro poteva diventare una forte di reddito. Così gli è venuta l'idea di organizzare la pesca sportiva allo sgombro e ha trasferito la famiglia a Porto Barricata sul Delta del Po. Ha mantenuto anche la carpenteria, sebbene in quel momento tutti facevano capannoni solo in cemento armato. Era un uomo con molte idee e aveva registrato tanti brevetti: il garage a soffietto, per esempioEra un visionario. Ha coinvolto mio fratello Diego per dedicarsi al turismo fluviale, dal Po di Tolle al Po della Pila, così nel 1985 è partita l'avventura della Deltatour». 

Come è stata l'infanzia di Rudy?
«Ero un bambino vivace, i miei erano separati e io prendevo il meglio da uno e dall'altro. A 13 anni papà mi ha buttato in cantiere, dovevo lavorare se volevo la bicicletta prima e il motorino dopo. L'unica cosa che mi è dispiaciuta è stata quando ho dovuto lasciare le lezioni di storia dell'arte che mi piacevano, mio padre è venuto a scuola a prendermi perché dovevo fare il saldatore. Al momento non l'ho capito, col tempo mi sono detto che aveva fatto bene. Aveva una forte personalità, era rigido, così cerco di dare ai figli quello che non ho avuto, di stare molto con loro. In realtà ho conosciuto mio padre da adulto, quando ho capito che se abbandonavo la barca mi sarei sentito responsabile dell'affondamento della barca. Non mi è stato regalato niente, alle cinque del mattino sono in azienda, se vuoi avere devi dare, niente cade dal cielo».

Quando è entrato in azienda?
«All'inizio è stato un disastro a tutto tondo, avevano fatto un debito di 250 milioni di lire, mio padre si era venduto tutto. Nel 1988, dopo il diploma, ero militare al Lido, nei Lagunari, un giorno papà mi chiama e mi ordina di chiedere un permesso per andare in banca: O prendi in mano tutto o vendiamo tutto. Sono scelte forti da fare a 19 anni. A Padova in banca ho portato come garanzia l'appartamento che mio padre mi aveva intestato. Il direttore si limitò a dire: Me pare un bon toso. Mi hanno dato tempo fino al congedo e subito dopo ho incominciato a lavorare, cercavo clienti, le cose sono andate bene e in tre anni abbiamo ripagato i debiti. C'era la legge dei numeri: più gente portavi in barca e più guadagnavi. Nel 1993 abbiamo varato la seconda imbarcazione, la Padovanelle. Tutte le barche le abbiamo fatte noi con la nostra carpenteria, le abbiamo costruite come ci occorrevano adattandole ai percorsi, con terrazze abbassabili per favorire il passaggio sotto i ponti. Ora abbiamo undici imbarcazioni, la più grande può portare 400 persone. La morte di papà nel 2000, dopo la malattia, ci ha fatto perdere un po' lo spirito. Stavamo discutendo come fare la barca nuova, ma è stato come spegnersi. Ci siamo scossi in tempo, siamo stati i primi con la Delta Nova a fare una barca privata totalmente elettrica».

Cosa vuole dire navigare per fiumi?
«Il mercato fluviale è cresciuto negli anni e crescerà ancora. Siamo sempre più legati alla natura e navigare vuol dire conoscere meglio il territorio; il nostro primo tour aveva come scopo portare i padovani a conoscere la loro città. È uno spettacolo guardare le rive, i ponti che si alzano, la Conca di Battaglia Terme inaugurata nel 1929 da Mussolini: è la più alta del Veneto, un salto d'acqua di sette metri; quella di Porto Viro è più larga ma con un salto d'acqua basso, e col Po in piena non è transitabile. Andiamo sulla Riviera del Brenta per le ville venete; facciamo le isole di Venezia, Chioggia e la Laguna; le crociere da Venezia al Delta del Po, tutto il Parco del Delta, Padova tra mura e anello fluviale, le antiche vie di navigazione della Riviera Euganea, poi Mantova».

Sogni?
«Ne ho due: circumnavigare la città di Padova e alzare il ponte ferroviario di Loreo-Rosolina, quello dove passa la Vaca mora. È basso e non ci passano le barche, è da 25 anni che aspettiamo. Quest'anno la Regione ha finanziato l'opera, dovrei riuscire a vedere il sogno realizzato».

La Vaca mora è l'erede della prima littorina da Mestre per Adria, allora serviva le fabbriche di Porto Marghera e lo zuccherificio di Pontelongo. Passeggeri e merci. È rimasta la linea, è rimasto il nome del treno che ha finito per diventare anche quello di un amaro. Gian Antonio Cibotto, cantore del Polesine, le ha dedicato un libro. Vaca mora, vaca mora/ vecio treno de la malora, diceva una canzone popolare. 
Ultimo aggiornamento: 11:05 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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