Mini-condoni edilizi, la Consulta boccia la legge veneta

Giovedì 22 Aprile 2021 di Angela Pederiva
Un cantiere edile

VENEZIA La norma del Veneto sul mini-condono è illegittima. L'ha stabilito la Corte Costituzionale, con una sentenza depositata ieri, che ha accolto il ricorso del Governo contro la legge approvata dal Consiglio regionale alla fine del 2019. Secondo la Consulta, il testo invade la competenza statale in materia di governo del territorio, in quanto permette di regolarizzare le «piccole difformità edilizie» pagando una semplice sanzione: un tema molto sentito nel mercato immobiliare, dove le compravendite rischiano di saltare proprio per la presenza di vecchi abusi che non possono essere sanati in via ordinaria.


IL CONTENUTO
Durante la sua gestazione, la normativa era stata presentata dal promotore zaiano Francesco Calzavara come una mini-sanatoria: «Non si tratta di alcun condono edilizio, ma della possibilità di regolarizzare sotto il profilo urbanistico una considerevole porzione del patrimonio esistente». Con i voti della maggioranza di centrodestra, e le perplessità dell'opposizione di centrosinistra (che paventava appunto potenziali profili di incostituzionalità), era stata prevista la possibilità di porre rimedio alle discrepanze tra il fabbricato esistente e il titolo edilizio o il progetto approvato, purché ricadessero in una di queste cinque situazioni: aumento in volume fino a 90 metri cubi; incremento in superficie fino a 30 metri quadri; diverso utilizzo dei vani, ferma restando la destinazione d'uso consentita; modifiche non sostanziali della localizzazione dell'edificio, purché rispettassero le distanze dai confini; altre diversità che non modificavano la struttura e l'aspetto complessivi.
Era stato deciso che, per ottenere la sanatoria, fosse sufficiente presentare la Scia (Segnalazione certificata di inizio attività), versare il contributo edilizio e pagare una multa fissata, a seconda delle varie categorie, in 70 euro al metro cubo, 210 euro al metro quadro, 500 euro a vano, 1.000 e 750 euro per le altre anomalie.

La possibilità era riservata agli immobili costruiti prima del 28 gennaio 1977, data in cui entrò in vigore la legge sull'edificabilità dei suoli.


LE DUE TESI
Dopo l'impugnazione deliberata dal Consiglio dei ministri, davanti alla Corte Costituzionale si sono fronteggiate due tesi contrapposte. Secondo l'Avvocatura dello Stato, le disposizioni avrebbero permesso la conservazione del patrimonio edilizio esistente anche se abusivo, sostituendo la sanzione demolitoria con quella pecuniaria, «al di fuori dei casi tassativi» prescritti dalla normativa statale in materia edilizia e senza soddisfare il requisito della doppia conformità, valutata cioè rispetto alla disciplina vigente sia al momento della costruzione, sia al momento della domanda.
Invece per gli avvocati della Regione, la competenza del legislatore statale nel tracciare le regole di principio della sanatoria non avrebbe comportato una sua prerogativa nel disciplinare «qualsiasi ipotesi di regolarizzazione edilizia». La difesa regionale aveva infatti rimarcato che non venivano rimosse le conseguenze degli abusi sul piano civile e penale e che le norme impugnate riguardavano «abusi edilizi di scarso rilievo, risalenti, peraltro, ad un periodo storico nel quale i progetti venivano sottoposti al solo esame della commissione edilizia».


LE MOTIVAZIONI
Alla fine, però, la Corte Costituzionale ha condiviso le argomentazioni di Palazzo Chigi. Secondo i giudici, l'esito sostanziale delle disposizioni «non è circoscritto all'esclusione della sanzione demolitoria (...) ma si estende al rilascio di un diverso titolo abilitativo», il che produce «gli effetti di una sanatoria straordinaria». Difatti non solo viene consentito «il mantenimento dell'immobile abusivo nella disponibilità del soggetto interessato», oltretutto «senza alcun obbligo di ripristino», della situazione preesistente, ma è anche previsto che «il titolo originario, stabilito dal legislatore statale, sia sostituito dal nuovo titolo, conseguente alla presentazione della Scia».
Al riguardo la Consulta ricorda di aver «più volte chiarito che spettano alla legislazione statale, oltre ai profili penalistici», anche «le scelte di principio», in particolare quelle riguardanti la decisione «se disporre un titolo abilitativo edilizio straordinario, quella relativa all'ambito temporale di efficacia della sanatoria e infine l'individuazione delle volumetrie massime condonabili». Invece «le norme impugnate esorbitano da tale ambito di competenza», per cui è stato decretato lo stop al mini-condono, attraverso la dichiarazione di incostituzionalità dell'intera legge.
 

Ultimo aggiornamento: 23 Aprile, 08:32 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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