Medico in vacanza salvò una donna sul treno, il dottor Santucci: «L'Italia ci chiama eroi ma poi ci lascia nel precariato»

Giovedì 29 Ottobre 2020 di Angela Pederiva
Carlo Santucci
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Lo dice Galilei, lo scienziato che rese grande l'Università di Padova, nella Vita di Galileo firmata da Bertolt Brecht, commentando l'umiliante abiura davanti all'Inquisizione di Roma: «Sventurato il Paese che ha bisogno di eroi».

Già, eroi... ma poi? Questi 250 giorni di emergenza Coronavirus sono stati anche una grande ed enfatica narrazione della straordinaria dose di coraggio e abnegazione richiesti al personale sanitario in tutta Italia. Però dietro lo storytelling, appunto, c'è la storia vera: quella di chi al fronte ci è andato e ci sta, impegnandosi e rischiando, senza tuttavia alcuna prospettiva di un futuro professionale oltre l'orizzonte del precariato.

Come il dottor Carlo Santucci, romano di nascita e padovano di adozione, medico con contratto Covid al Pronto soccorso di Camposampiero: «In questi 8 mesi abbiamo ascoltato in silenzio, continuando a lavorare senza sosta per una Regione che fortunatamente ce ne ha dato l'opportunità, la melliflua retorica dello Stato. Ma ora è arrivato il momento di dire, forte e chiaro, che non possiamo continuare a farci trattare così. Siamo talmente indispensabili per questo Paese che, quand'è stato il momento di partecipare per l'ennesima volta al concorso nazionale per l'ingresso nelle scuole di specializzazione e tentare finalmente di completare la nostra formazione, non ci è stato riconosciuto nemmeno mezzo punto in più in graduatoria per il lavoro che pure stiamo facendo in prima linea».


SULLE DOLOMITI

Il 35enne Santucci eroe lo è diventato ancora prima degli striscioni con l'arcobaleno e con la promessa che tutto sarebbe andato bene. È infatti il medico che il 27 agosto dello scorso anno, sul treno delle Dolomiti che aveva preso quasi per caso durante una vacanza con la famiglia a Cortina d'Ampezzo, dopo 40 minuti di estenuante massaggio salvò la vita a una turista in arresto cardiaco. Un intervento di primo soccorso, è bene ricordarlo, senza defibrillatore, a bordo di un convoglio ferroviario in corsa tra la pista ciclabile di San Candido-Lienz e la stazione di Dobbiaco, con i familiari della donna che piangevano e la folla dei passeggeri che tifava. Quel gesto di eccezionale eroismo è valso al giovane dottore un'infinita serie di riconoscimenti, fra cui il titolo di cavaliere al merito della Repubblica che gli è stato conferito dal presidente Sergio Mattarella. La prossima cerimonia, inizialmente prevista per il 1° novembre ma successivamente rinviata per le note restrizioni, riguarda invece il premio Moscati, assegnato come senior allo pneumologo Giuseppe De Donno e come junior appunto al medico non specializzato Santucci, che lo dedicherà «a tutto il Pronto soccorso di Camposampiero, diretto dal primario Giuseppe Marinaro» e che sogna di diventare oculista, ma è ancora intrappolato nell'imbuto formativo per cui, a fronte di 14.455 posti nelle scuole, ci sono in attesa 22.000 laureati e abilitati.
LE DELIBEREQuesti due requisiti gli avevano permesso, in virtù delle famose e contestate delibere regionali del Ferragosto 2019, di partecipare al bando per l'ingaggio di 500 medici in Pronto soccorso e Geriatria. «Da allora in realtà siamo rimasti molti meno racconta Santucci perché tanti ragazzi non hanno retto il peso dell'attività in corsia, senza la garanzia di una stabilizzazione. Come nel mio caso, l'inizio del corso di formazione alla Fondazione scuola di sanità pubblica è praticamente coinciso con l'esplosione del focolaio di Vo', per cui sono stato contrattualizzato subito come medico Covid. Questo significa lavorare 48 o anche 60 ore alla settimana, con turni di 12 ore filate dalle 8 alle 20, o dalle 20 alle 8, weekend di guardia compresi. Un'esperienza straordinaria accanto a colleghi fantastici, per cui sarò sempre grato alla Regione. Il guaio è che, per la normativa, siamo considerati gettonisti, ingaggiati in regime di libera professione, pagati solo per i giorni o per le notti che lavoriamo, senza ferie, senza malattia e soprattutto senza futuro».
LA GRADUATORIAIn questi mesi il governatore Luca Zaia ha citato spesso la sua storia, ribadendo ogni volta che intende assolutamente garantire la prosecuzione del contratto «a medici che hanno dimostrato sul campo che sono in grado di salvare le vite», benché precisando di credere nella specializzazione, «tant'è vero che abbiamo finanziato 90 borse». Il problema è che, pur volendolo, la Regione non può assumere a tempo indeterminato i medici non specializzati. E se non sono dipendenti del Servizio sanitario nazionale, i giovani dottori non possono entrare nella quota riservata di posti, di fatto l'unica possibilità che avrebbero di scalare l'interminabile graduatoria di ingresso, che oltretutto al momento è pressoché paralizzata da una sequela di ricorsi ai Tar e al Consiglio di Stato. Un cortocircuito frustrante per i diretti interessati, tanto più in un caso come quello di Santucci: essendo arrivato da Roma, non può rientrare nella riserva regionale destinata ai concorrenti del Veneto, ma al tempo stesso non può nemmeno contare su un punteggio aggiuntivo in quanto medico Covid. «L'Italia si sfoga si ricorda di noi quando c'è l'emergenza, chiedendoci tantissimo senza darci certezze. E poi, passata l'onda dell'emotività, si dimentica che mancano 56.000 specialisti. Vogliamo una formazione riconosciuta da una scuola di specializzazione e dal ministero dell'Università: se lo Stato non ce la fa, lo lasci fare alle Regioni. Solo così sarà possibile mantenere elevati gli standard di cura dei nostri pazienti. Dovrà forse scoppiare un'altra epidemia per farlo capire una volta per tutte?».
Angela Pederiva

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