TREVISO - Se in Veneto mancano medici non è perché la Regione non assuma, ma perché di medici non ce ne sono. Il presidente Luca Zaia sintetizza così quella che se non è un'emergenza, poco ci manca. In Veneto sono 1300 i posti scoperti. E in tanti puntano il dito verso le politiche varate in Laguna. Ma Zaia rispedisce tutto al mittente: «Ho voluto io che si rendessero noti i numeri dei medici presenti in tutti i territori delle Usl venete - precisa - ed è bene che si capisca una cosa: quello che magari qualcuno va dicendo ai pazienti, ovvero non ci sono medici perché la Regione non assume, non è vero. Ci sono migliaia di posti vacanti e non riusciamo a coprirli perché o ai concorsi non si presentano candidati sufficiente, oppure perché chi vince e se ne va da un'altra parte».
Ogni Ulss ha appena tracciato il bilancio dell'emergenza medici. Bastano alcuni esempi: al concorso di Azienda Zero per Medicina e Chirurgia d'accettazione e d'urgenza, 81 posti, sono giunte solo 12 domande di partecipazione; a quello per Anestesia e Rianimazione 19 domande per 31 posti. A Padova, negli ultimi due anni, a fronte di 186 autorizzazioni da parte della Regione l'Usl è riuscita ad assumere solo 139 camici bianchi. E Venezia 153 su 432.
La questione, per Zaia, sta tutta qui. E gli stipendi più alti in una regione piuttosto che in un'altra, non c'entrano. O meglio: non rappresentano il cuore del problema. La realtà è che di medici ce ne sono sempre meno. E il governatore, come sempre, si affida ai numeri: «Ci sono più offerte di lavoro che medici a disposizione. In Italia mancheranno 56mila medici. Il dato Veneto è che abbiamo un deficit di almeno 1300 unità. Questo per dire che, ripeti, di medici non ce ne sono. E se non ci sono, non è perché la Regione non vuole. La Regione fa i concorsi, ma non si riesce ad assumere».
SOLUZIONIUna prima soluzione potrebbe arrivare dall'autonomia. Il governatore, se potesse avere le mani più libere, avrebbe un paio d'idee per almeno tamponare la situazione: «Cosa cambierebbe con l'autonomia? Partiamo dai Pronto Soccorso, che rappresentano il primo grande problema. Se potessimo, in questa fase emergenziale, utilizzare anche i medici che non hanno la specializzazione per l'emergenza-urgenza, ma che sono medici a tutti gli effetti, potremmo già dare una mano nei Pronto Soccorso. E non sarebbe poco». Altra ipotesi già annunciata tempo fa scatenando polemiche a non finire: convincere i medici arrivati alla soglia della pensione a rimanere al proprio posto. Zaia la ripropone con convinzione: «Precisiamo, perché c'è sempre qualcuno pronto a fare polemica, che io non sono per far lavorare a ogni costo chi va in pensione. Sia chiaro. Ma se mancano medici e ci sono invece professionisti in gamba che vanno in pensione con le lacrime agli occhi perché al culmine della loro attività, magari dei grandi chirurghi o dei grandi operatori, non vedo perché non trovare un'altra soluzione. Perché costringerli a smettere di lavorare solo per aver raggiunto la soglia dei 65 anni. Sinceramente non ci vedo nulla di tragico se a grande chirurgo che trapianta cuori gli si dovesse chiedere di restare uno o due anni in più, magari facendo anche attività di formazione con i giovani. Queste sono le cose da fare».
LA FORMAZIONEInfine, altro cavallo di battaglia: quello delle scuole di specialità e del numero chiuso per accedere alla facoltà di Medicina.