I giudici: «Clan mafioso radicato nel Veneto da almeno un decennio»

Martedì 2 Aprile 2019 di Gianluca Amadori
I giudici: «Clan mafioso radicato nel Veneto da almeno un decennio»
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ERACLEA - «L'indagine ha documentato l'esistenza, nel territorio del Veneto, di un sodalizio mafioso radicatosi da ben oltre un decennio, sotto la copertura di una serie di aziende edili, i cui componenti, prevalentemente provenienti dalla città di Casal di Principe, risultano strettamente collegati al cosiddetto clan dei casalesi.
Lo scrive il Tribunale del riesame di Venezia nelle motivazioni di uno dei provvedimenti (depositato venerdì) con i quali, lo scorso mese, sono state confermate quasi tutte le misure cautelari emesse dal gip Marta Paccagnella nell'ambito dell'inchiesta coordinata dal sostituto procuratore Roberto Terzo sul presunto boss di Eraclea, Luciano Donadio, e i suoi sodali, accusati di associazione per delinquere di stampo mafioso e di numerosi reati, che vanno dall'usura all'estorsione, ai reati commessi svuotando numerose società.
 
VIOLENZA E INTIMIDAZIONE
I giudici del Riesame, presidente Licia Marino, evidenziano come, dopo il vuoto lasciato dalla mala del Brenta, a seguito del pentimento di Felice Maniero, «il territorio sia divenuto recettore di altre forme delinquenziali che, stanziatesi nella zona del litorale veneziano e ad Eraclea in particolare, ne hanno acquisito rapidamente il controllo, utilizzando metodi mafiosi, connotati da violenza e intimidazione». E come il nuovo sodalizio criminoso sia stato guidato da persone i cui rapporti risultano «cementificati da parentela o affinità», riuscendo ad assoggettare «operatori economici dell'area del sandonatese e delle zone limitrofe imponendo le proprie condizioni economiche e determinando di fatto una sleale concorrenza».
Nelle oltre 4 pagine di ordinanza, il Tribunale analizza e valuta fondate le molte prove raccolte da Guardia di Finanza e Polizia, tra cui numerose intercettazioni telefoniche e ambientali, giudicando attendibili e riscontrate le dichiarazioni rese da vari collaboranti, i quali hanno tratteggiato un ritratto di Donadio come il boss indiscusso della zona, con contatti e legami con il clan Schiavone. Secondo i giudici l'appartenenza camorristica di Donadio «non può in alcun modo essere interpretata riduttivamente come una tecnica di millanteria utilizzata con gli imprenditori veneti per spaventarli e piegarli facilmente alle pretese del sodalizio».
ASSISTENZA AI SODALI
A dimostrare l'esistenza di un'associazione di stampo mafioso contribuisce, secondo i giudici, anche il «sostegno a sodali e famigliari... sia in termini di sostegno economico sia in termini di assistenza legale, non solo fornendo alla bisogna il difensore, ma utilizzando anche quest'ultimo per ricevere e fornire informazioni agli associati».
Il Riesame scrive che «gli episodi intimidatori, eseguiti o anche solo progettati dal sodalizio» hanno trovato conferma sia nelle attività tecniche che nelle dichiarazioni di alcuni camorristi che hanno preso le distanze dal clan, iniziando a collaborare con la magistratura. Così come dagli atti dell'inchiesta emerge «la capacità infiltrativa dell'associazione».
I giudici concludono sottolineando che «anche grazie alla protensione di Donadio di mostrare a tutti il proprio potere, il clan dei casalesi fosse ben conosciuto nel conetsto sociale, peraltro molto limitato di Eraclea, tant'è che anche soggetti non affiliati, preoccupati unicamente del proprio tornaconto personale, sceglievano di rivolgersi al capo clan per risolvere le loro vicende personali, fossero riscossione di crediti o risoluzioni di controversie, o addirittura prevenzione delle medesime, così dimostrando, nei fatti, il radicamento nel contesto sociale».
Gianluca Amadori
© RIPRODUZIONE RISERVATA

    
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