«Mafia, nelle aziende troppa omertà nessuno era disponibile a collaborare»

Giovedì 17 Ottobre 2019 di Nicola Munaro
Il procuratore capo antimafia di Venezia, Bruno Cherchi
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Ciò che più preoccupa il procuratore capo antimafia di Venezia, Bruno Cherchi, è «la cortina di omertà» che si respira in Veneto e che adesso emerge prepotente. 
Procuratore Cherchi, perché questo silenzio degli imprenditori?
«Pensiamo possa derivare da un'errata valutazione della situazione da parte di questi imprenditori. C'è una sottovalutazione culturale nel pensare di poter trattare a pari rapporti con criminali».
In che senso?
«Pensavano all'inizio di poter gestire in prima persona questo tipo di rapporti non rendendosi conto che non è possibile. La criminalità organizzata ha forme di intervento che non è possibile arginare da soli. Rapporti creati su finte amicizie e finti interessi, ma una volta che si entra in difficoltà quest'amicizia si trasforma in minacce e interventi protervi».
Di fronte, persone senza scrupoli...
«E che non si fanno problemi a dire Io sono un affiliato, un calabrese e queste cose le risolviamo in maniera diversa. Quando poi qualcuno dice Vado a denunciare, ecco innestarsi un intervento per spiegare che queste cose non si fanno. Invece quello che diciamo è di denunciare sempre tutto».
 
Dietro a un simile comportamento delle vittime, soltanto la mancata valutazione di chi avevano di fronte?
«No, abbiamo constatato anche una preoccupazione di non ricevere la necessaria tutela da parte della procura distrettuale e delle forze di polizia. Che invece ci sono e sono in grado di assicurare quanto serve. Chi non denuncia ha paura di persone che possono diventare minacciose improvvisamente. È vero, può creare una certa apprensione ma deve essere superata. Va rotto questo sistema: il loro unico interesse è riciclare denaro sporco e acquisire il controllo delle società per usarle come lavatrici. Vero che il denaro immediato fa gola, ma uscirne da questa rete è impossibile».
Così vi siete scontrati con un muro. Nessuno delle vittime voleva collaborare.
«Sì, e non è giusto. Non vorremmo trovarci di fronte a una situazione che richiama vecchie conoscenze di altri ambiti territoriali del paese. Ma non è giusto non solo per il dato penalmente rilevante, ma perché come Distrettuale siamo in grado di tutelare tutti coloro che hanno subito usura e vogliono denunciare». 
Per questo le perquisizioni?
«C'è un dato che allarma, il fatto di essere costretti a fare le perquisizioni per rintracciare la documentazione necessaria ad approfondire i rapporti della cosca con le imprese».
In più, la presenza di notaio tra gli indagati. Forse il segno che qualcosa sta cambiando?
«In Veneto non si deve più parlare di penetrazione, ma di radicamento delle cosche mafiose. Che si siano rivolte a un notaio e ci sia un atto ufficiale, dà la cifra di come ormai sia tutto innervato nella società».
Nicola Munaro

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