Decreto flussi e stagionali: pochi permessi. «​E gli italiani non hanno voglia di fare questi lavori»

Giovedì 25 Luglio 2019 di Tomaso Borzomì
Veneto. Decreto flussi e stagionali: pochi permessi. « E gli italiani non hanno voglia di fare questi lavori»
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VENEZIA - Burocrazia contro realtà, è ancora una volta scontro. A sollecitare l'ennesima contraddizione è il Decreto Flussi e la quota di 20 permessi (su 18mila ingressi stagionali di extracomunitari consentiti a livello nazionale e 610 in Veneto) per persone extracomunitarie da impiegare in qualsiasi settore stagionale nella provincia di Venezia. A temere per l'economia agricola e il rischio caporalato è il presidente della Cia Agricoltori Italiani Venezia Paolo Quaggio: «Nella provincia veneziana questo numero diventa insignificante. Venti persone per bar, ristoranti, alberghi, spiagge». Il problema è il comparto agricolo che rischia di risentire pesantemente: «E le imprese agricole - prosegue Quaggio -, che sono anch'esse fortemente condizionate dalla stagionalità? Siamo in fase di semina di colture e raccolta di altre. Tra poche settimane comincerà la vendemmia. Se è vero che da una parte riusciamo a coprire la richiesta con l'impiego di lavoratori comunitari, dall'altra si preclude alle aziende la possibilità di utilizzare le opportunità offerte dal Decreto Flussi». Così si rischia di favorire il sommerso: «Con  sempre meno posti stagionali regolari, rischiamo di aprire le porte allo sfruttamento - continua il presidente -. Caporalato non vuol dire soltanto illegalità, ma anche insicurezza e mancanza di controlli: il legame con gli infortuni sul lavoro diventa poi inevitabile».

TANTE DIFFICOLTÁ
Le difficoltà sono tante, al punto che Quaggio si sfoga: «Non sappiamo più come affrontare la situazione, a parole tutti dicono che l'agricoltura è un settore strategico del nostro Paese, ma nei fatti non esistono misure per sostenerlo».

Diverso il discorso di Marco Michielli, presidente di Confturismo Veneto e vice nazionale, che parla di un altro fenomeno: dopo la fuga di cervelli, la fuga delle braccia. «Gli albergatori che mi conoscono mi chiedevano le quote, ma quando i Paesi dell'Est sono diventati comunitari le cose sono cambiate e oggi le quote valgono solo per l'area extra Europa», inizia Michielli: «Massima solidarietà, ma per noi i problemi sono altri. Mancano i lavoratori, ogni hotel del Veneto, ce ne sono 3150, è sotto di almeno una o due figure. Gli italiani non hanno voglia di fare questi lavori, quelli bravi han fatto valigia e sono andati all'estero, dove lavorano dodici mesi. Basta andare alle Canarie e si può parlare tranquillamente dialetto veneto». Questo contribuisce ad uno sviluppo, ma altrove: «I ragazzi fanno mutui lì, si stabiliscono e qui resta solo disperazione. Conosco albergatori che portano i piatti perché non trovano camerieri». Non è un problema economico: «L'ultima figura in un hotel guadagna 1300 euro al mese, spesato di vitto e alloggio, ma oggi si fatica anche a trovare una segretaria. Se poi uno è sveglio, da cameriere con le mance potrebbe guadagnare il doppio». E si ricorre all'Est: «Non è questione di colore della pelle, ma chi viene dall'Est conosce il mestiere e impara la lingua in fretta, c'è bisogno di persone formate». Michielli spiega che il problema è anche il fatto dell'accesso all'informazione: «Non è possibile che trovi l'80% dei lavoratori su Facebook. È indecente. Serve un portale nazionale o regionale che metta in relazione chi vuole lavorare e chi offre lavoro». L'ultima bordata è per il reddito di cittadinanza: «Istiga al sommerso, da Rimini in giù chiedono di lavorare in nero per non perderlo».
Tomaso Borzomì
Ultimo aggiornamento: 16:52 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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