Generali, il ruolo del Nordest e la sfida degli imprenditori

Domenica 1 Maggio 2022 di Ario Gervasutti
Generali, il ruolo del Nordest e la sfida degli imprenditori

«La finanza ha prevalso sull'impresa. Per ora». Nella sintesi che un grande imprenditore nordestino fa della battaglia per il controllo delle Generali ci sono due elementi che spiegano con molta efficacia qual è il sentimento del giorno dopo. C'è quel «per ora», che fa capire come l'esito della partita ha sì decretato un vincitore nel gruppo che ha sostenuto la gestione impostata da Mediobanca: ma come sanno bene gli sportivi, «il campionato è ancora lungo».

Ed è a questo che si lega il primo concetto: «La finanza ha prevalso sull'impresa». È infatti netta la contrapposizione che emerge chiaramente dallo scenario uscito dal voto dell'assemblea del Leone di Trieste. Una contrapposizione di cui si erano colte le avvisaglie già nelle settimane e nei mesi scorsi, quando la tradizionale riservatezza degli azionisti in vista di simili partite decisive era stata rotta da alcune uscite pubbliche, nelle quali si percepivano chiaramente le posizioni in campo.


L'ARIA CHE TIRA
Il primo ad aver fatto capire l'aria che tirava era stato il presidente degli industriali di Padova e Treviso, Leopoldo Destro: «È una notizia positiva - aveva detto - che ci siano imprenditori italiani, con grandi interessi nel Nordest, che vogliano investire capitali propri per preservare e far crescere ulteriormente un grande brand come Generali. Non possiamo perdere anche questo asset, che tanto rappresenta per il nostro territorio nordestino. Gli asset e le cose positive in Italia vanno preservate e supportate. Devono crescere e devono essere messe nelle condizioni di poterlo fare».


Ecco, il timore di «perdere l'asset» e il riferimento all'impegno di «imprenditori italiani» spiega bene il motivo per il quale l'esito del voto ha visto una chiara ed evidente spaccatura: da una parte gli imprenditori e il grosso degli investitori italiani, dall'altra Mediobanca e i grandi fondi di investimento stranieri. Concetto, quello di Destro, rafforzato anche dal presidente di Confindustria Venezia e Rovigo, Vincenzo Marinese, quando sosteneva che «l'impegno di Francesco Gaetano Caltagirone e Leonardo Del Vecchio in Generali è il ritorno del vero capitalismo, quello che non esita ad assumersi le proprie responsabilità attraverso un'assunzione diretta del rischio con l'investimento». O dal vicepresidente di Confindustria Alto Adriatico, Paolo Candotti, la cui impresa lavora con un altro colosso nordestino come Fincantieri: «Mi piace pensare - spiegava - che questo tipo di imprese sistemiche come Generali debbano essere predatrici e non prede; per il bene del sistema Paese devono sempre avere una prospettiva di crescita».


Che l'imprenditoria fosse quindi sensibile al piano guidato da Caltagirone e alle ragioni per cui era stato concepito, era dunque emerso chiaramente. Ma l'esito del voto di venerdì lo ha sottolineato ancora di più. I Benetton non solo hanno votato a favore, ma hanno anche incrementato la loro quota in Generali passando dal 3,95% del capitale al 4,75%. Lo stesso hanno fatto pezzi da novanta dell'impresa italiana come la famiglia bolognese Seragnoli, capitale miliardario (in euro) grazie alla meccanica di precisione, o il re delle ceramiche Romano Minozzi che per vocazione investe nei campioni dell'italianità come Snam o Ferrari. E come loro quasi tutti gli azionisti di un certo peso italiani hanno votato per il piano alternativo.


PUNTI DI VISTA
Questo ha un particolare significato da molti punti di vista. Sono voti che hanno una logica imprenditoriale e non solo finanziaria, un'ottica di sviluppo dell'impresa. E sono voti di imprenditori che hanno una dimensione globale, non si tratta solo di piccole aziende locali o al limite con dimensione nazionale. Siamo quindi di fronte a persone che hanno nel proprio Dna una visione di crescita e sviluppo. Imprenditori che rappresentano l'argine più efficace, prima di tutto nell'interesse stesso di Generali e dell'intero sistema-Paese, alle incursioni internazionali speculative che sono il naturale e legittimo modus operandi dei grandi fondi stranieri. Un nocciolo del 35-40% di imprenditori che fanno una scelta di questo genere è un elemento di stabilità importantissimo per una compagnia come quella triestina, indipendentemente da chi la guida.


LE RAGIONI
Le ragioni e le considerazioni di questi imprenditori restano quindi tutte valide, perché la loro adesione al piano alternativo a quello di Mediobanca non è tanto e non solo in un'ottica di contrapposizione, ma è dovuta proprio al fatto di essere portatori di una visione diversa. Ed è significativo che gruppi come quelli guidati da Caltagirone, Del Vecchio, Benetton, Seragnoli, Minozzi che una volta avevano in Mediobanca il loro punto di riferimento e il cosiddetto salotto in cui venivano prese e condivise le decisioni più strategiche, ora si trovino dall'altra parte della barricata in una partita così significativa.


È una sorta di nemesi per la stessa Mediobanca, che da punto di riferimento del capitalismo italiano si è ritrovata in contrapposizione rispetto agli imprenditori, posizionandosi al fianco dei fondi speculativi stranieri. Fondi che fanno il loro mestiere, comprando ovviamente azioni Generali perché diversificando e investendo in tutti i Paesi del mondo inevitabilmente si dirigono sul Leone triestino come su tutte le grandi aziende che hanno una posizione preminente nel listino italiano. Ma che altrettanto inevitabilmente guardano all'oggi, al «qui e subito». Non proprio la stessa visione che devono avere gli imprenditori italiani e i molti nordestini che in questa partita e nelle sue prospettive future vogliono ancora giocare un ruolo importante. Perché - appunto - «il campionato è ancora lungo».

Ultimo aggiornamento: 27 Aprile, 17:00 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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