Cosa resta dei ghiacciai: ne rimane solo uno ed è il più basso delle Alpi

Domenica 25 Febbraio 2018 di Paola Treppo
Ricerche sulle montagne del Friuli - Foto Colucci
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FRIULI VENEZIA GIULIA - Come stanno i ghiacciai del Friuli Venezia Giulia? Resistono ancora, anche se ormai le loro dimensioni sono decisamente ridotte. O meglio, resiste ancora. Perché l’unico che oggi si può chiamare ancora ghiacciaio, in regione, è quello del Montasio, peraltro da record, trattandosi del più basso, come altitudine, di tutta la catena delle Alpi.
 

 


I glacionevati
Il ghiacciaio del Montasio, come tutti gli altri ghiacciai, si muove, e il suo movimento causa la formazione di crepacci, ancora molto ben visibili nella parta più alta. Il resto, e si tratta di 22 ex ghiacciai, sono orami da annoverare tra i cosiddetti “glacionevati”: si tratta sempre di antichi depositi di ghiaccio che però si sono frammentati.

Ci sono 22 ex ghiacciai
Tra questi si conta l’ex ghiacciaio del Canin che ha raggiunto la sua massima estensione nella Piccola Età Glaciale, attorno al 1800. Dal confronto con foto storiche risulta evidente come questo “relitto” stia scomparendo. Il surriscaldamento globale della Terra, infatti, ha causato la sua consistente fusione e la sua frammentazione in diverse piccole placche di ghiaccio di spessore limitato e con un movimento che gli esperti definiscono ormai trascurabile; questa tendenza non si arresterà, verosimilmente, anche in futuro. Tutti i “glacionevati” del Friuli si trovano sulle Giulie, sia in territorio italiano e in area slovena; oltreconfine, però, sono molto meno numerosi.

L’aumento della temperatura del pianeta
La scomparsa dei ghiacciai è legata alla modifica del clima e all’aumento della temperatura del pianeta che avrà effetti importanti sul nostro ambiente di vita quotidiano. «Per fare un esempio molto semplice possiamo pensare al rifugio Gilberti che si trova a 1.850 metri di altitudine - dice il glaciologo del Cnr Ismar di Trieste, Renato Colucci, che da anni studia i ghiacciai del Friuli -; tra 60, 80 anni, potrebbe avere un clima simile a quello che c’è oggi a quota mille metri nelle Alpi Giulie. In generale, se l’uomo non smetterà di immettere gas serra in atmosfera, il cambiamento climatico avrà effetti molto marcati».

La natura si adatterà al mutamento
«La natura si adatterà al mutamento ma per l’uomo gli effetti saranno ovviamente deleteri. In parte il cambiamento è già di fatto inarrestabile perché il calore immagazzinato negli oceani sarà rilasciato comunque nei prossimi decenni anche se improvvisamente dovessimo smettere tutti insieme di produrre Co2». L’aumento della temperatura, insomma, ci sarà comunque.

Neve e valanghe
I “relitti” dei ghiacciai in Friuli Venezia Giulia, i “glacionevati”, hanno uno spessore va dai 10 ai 30 metri. Si tratta di piccoli ex ghiacciai molto particolari: si trovano infatti nella zona più soggetta a precipitazioni nevose e piovose dell’intero arco alpino. «Gli ex ghiacciai delle Alpi Giulie - spiega Colucci - sono anche interessati da numerose valanghe: quando nevica molto, infatti, le valanghe aumentano e aumenta di conseguenza anche il volume della neve che “alimenta” i “glacionevati”. Per questo risultano più lenti a scomparire: tecnicamente sono più resilienti al cambiamento climatico».

​Dal 1850 a oggi un calo del 90%
«Per volume ed estensione, insomma, negli ultimi anni, i piccoli ex ghiacciai delle Giulie sono sostanzialmente in equilibrio. A partire dalla metà degli anni Ottanta e fino all’inizio degli anni Duemila hanno vissuto una notevole riduzione che li ha portati a diminuire anche del 90%: sono calati esattamente dell’83% come superficie e del 96% in termini di volume. Una diminuzione molto importante, quindi, rispetto alle estensioni che avevano alla fine della Piccola Età Glaciale, tra il 1350 ed il 1850 circa, quando i ghiacciai alpini subirono una forte avanzata».

Le cavità carsiche di alta quota
Gli antichi depositi di ghiaccio e neve del Friuli sono sottoposti a una attenta verifica e a un continuo controllo, così come il ghiaccio presente nelle cavità carsiche di alta quota che sono numerosissime in regione, tra il Canin, il Piancavallo e in Carnia, verso Sappada; gli esperti studiamo con molta attenzione il ghiaccio che si è formato nelle grotte penetrando nelle cavità in estate, quando gli ingressi sono liberi dalla neve.

Il pipisterello congelato 
Questi depositi hanno migliaia di anni e spesso contengono materiale organico di notevole interesse scientifico: si possono trovare rami o foglie, insetti e pollini. In Romania, per fare un esempio, sempre in una cavità di questo genere, è stato rinvenuto un pipistrello vissuto 2mila anni fa, perfettamente conservato dal ghiaccio. Un po’ come avviene per gli insetti “catturati” nell’ambra. Lo studio del ghiaccio in cavità rientra in un progetto scientifico di grande interesse che si chiama “C3”, di cui è responsabile proprio Colucci.

Il ghiaccio nelle grotte 
Con l’Università di Trieste e il Parco Naturale delle Prealpi Giulie, da anni viene controllata l’evoluzione di queste masse glaciali nascoste nel cuore delle montagne.
Il progetto conta pure un telerilevamento eseguito da Helica che si pone come obiettivo lo studio della risposta della criosfera al cambiamento climatico. Con un sofisticato strumento in dotazione all’elicottero, in questi ultimi anni sono stati ricavati numerosi dati, in grado di produrre analisi tridimensionali utili alla determinazione dei bilanci di massa, delle variazioni delle fronti e dei mutamenti areali e volumetrici dei ghiacciai.

Ultimo aggiornamento: 26 Febbraio, 10:52 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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