Coronavirus? Fa più paura la crisi. Vaccino, uno su tre lo rifiuta

Mercoledì 18 Novembre 2020
Coronavirus? Fa più paura la crisi. Vaccino, uno su tre lo rifiuta

Corre veloce, il virus.

Più dei tamponi, più degli isolamenti fiduciari, più dei ricoveri. Mentre il colore del Paese cambia a suon di Dpcm e Ordinanze regionali, virando verso un arancio-rosso sempre più generalizzato, segno dell’aggravarsi della situazione e dei sempre più stringenti tentativi di arginarla, come sta cambiando la consapevolezza sociale del Coronavirus? Secondo i dati raccolti da Demos per l’Osservatorio sul Nordest, oggi è il 62% degli intervistati a conoscere persone che si sono ammalate di Covid-19: solo due mesi fa, la quota si fermava al 43%.


Che significa? Che la pandemia è entrata nella quotidianità di ognuno. Che ha coinvolto persone che fanno parte della nostra vita. Che è diventata molto più reale, per molti. È soprattutto chi è in possesso di un alto livello di istruzione (71%) e chi ha meno di 54 anni (67-73%) a conoscere persone che si sono ammalate di Covid-19. A questi tratti possiamo aggiungere alcune specifiche socioprofessionali: ad avere tra i propri conoscenti qualcuno che ha contratto il Coronavirus sono in misura maggiore liberi professionisti (80%) e impiegati (76%), imprenditori e lavoratori autonomi (70%), operai e studenti (entrambi 66%). Al contrario, le quote tendono scendere tra: gli anziani con oltre 65 anni (49%) e le persone in possesso di un basso livello di istruzione (41%), oltre a pensionati (51%), disoccupati (58%) e casalinghe (41%).


I TIMORI
Avere una conoscenza diretta della malattia influenza i timori? La risposta sembra essere negativa. Rispetto al contagio. la paura per gli effetti della crisi economica e sociale resta maggioritaria sia tra coloro che conoscono persone che si sono ammalate di Covid-19 (51%) che quanti non hanno avuto questo tipo di esperienza, per il momento (56%). La sensazione è che siano le persone che godono di maggiori legami sociali ad avere una percezione più concreta del rischio. Questo, però, non sembra tradursi in una crescita dei timori sanitari: preminenti, infatti, restano le preoccupazioni di stampo economico e sociale anche tra chi conosce persone che si sono ammalate di Covid-19.


Con la maggiore familiarità con la malattia è cresciuta anche la propensione alla vaccinazione? Pare di sì. Pur avendo raccolto le risposte prima dell’annuncio di Pfizer, che ha accorciato a qualche mese l’attesa per la distribuzione anche nel nostro Paese, emerge una certa crescita rispetto alla propensione alla vaccinazione, che sale dal 61% registrato nel settembre scorso all’attuale 64%. Sono in misura maggiore uomini (72%), giovani (77%) e anziani (79%) ad essere più convinti di sottoporsi alla vaccinazione, quando sarà disponibile, insieme a impiegati (70%) e studenti (82%), casalinghe (68%) e pensionati (75%). La contrarietà al vaccino, invece, si fa più larga tra le donne (36%) e nella fascia d’età centrale (25-54 anni, 34-47%), ma diventa maggioranza tra operai (52%), disoccupati (62%) e imprenditori (56%). Più veloce del virus, dunque, dovrà correre anche la capacità istituzionale di convincere chi, oggi, guarda con sospetto al vaccino.

Ultimo aggiornamento: 09:15 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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