«Sono stata offesa e sono stata tradita sia dal punto di vista personale che, soprattutto, da quello istituzionale». Non lo ha preso affatto bene, Elisabetta Casellati, il flop da 382 voti. Chi la cerca dopo il fattaccio per alleviare la sua pena non riesce a parlarle perché ha staccato i telefoni, s'è ritirata sdegnatissima nella sua residenza di Palazzo Giustiniani - soprannominato il Piccolo Quirinale perché sede della seconda carica dello Stato, ma lei aspirava al Quirinale grande - e quelle stanze risuonavano ieri pomeriggio di urla.
Casellati: io offesa e tradita
C'è chi l'ha sentita dire: «Ci voglio riprovare!».
LA CADUTA
Quando Casellati, bersagliata dai cecchini del centrodestra, sia azzurri come lei che centristi, ha lasciato l'aula si è appoggiata nel tragitto a un funzionario di Montecitorio perché la botta ricevuta era stata troppo forte. Ha smesso di presiedere le operazioni di voto, di cui era arbitra ma anche protagonista, e via subito a Palazzo Giustiniani con le chiamate a Salvini e Meloni che le dicono «non è stata colpa nostra» e poi lì al Piccolo Quirinale - tra le macerie del «centrodestra evaporato e finito, e ora facciamo una cosa di centro subito e bene», come dice Osvaldo Napoli - non si è chiusa in un silenzio dolente ma si è sfogata senza darsi pace. «Un atto di superbia la sua auto-candidatura», dicono nel suo partito quelli che l'hanno impallinata. «Quanta invidia...», è la sua reazione.
E c'è addirittura chi dice - ma sbagliando - che potrebbe ora perdere anche la carica di presidente del Senato e già si fanno i pronostici di sostituzione: con La Russa di Fdi? No, non servono questi scenari fantapolitici. Occorre fermarsi alla concretezza delle cose, e non c'è nulla di più concreto del pallottoliere che s'inceppa e delle pallottole dei cecchini d'aula che colpiscono un'aspirante Capo dello Stato che forse doveva proteggersi e farsi proteggere di più.