"Elefante" e "muflone", trucchi e codici segreti dei grandi evasori

Sabato 13 Aprile 2019 di Nicola Munaro
L'immobile in Svizzera dove ha sede la società di De Boccard
VENEZIA - Lo spaccato di chi sono, come pensano e come agiscono i venti imprenditori veneti finiti nell'inchiesta sul riciclaggio internazionale di denaro frutto dell'evasione fiscale, è dipinto con dovizia di particolari dal procuratore aggiunto di Venezia Stefano Ancilotto nella sua richiesta di sequestro preventivo. Quella che, accordata dal giudice per le indagini preliminari David Calabria, ha dato il via libera, giovedì mattina, alla Guardia di Finanza di mettere i sigilli a 12,3 milioni di euro in conti, azioni e beni immobiliari a carico di sei indagati, accusati a vario titolo di riciclaggio internazionale ed esercizio abusivo dell'attività finanziaria. Tre di loro sono commercialisti padovani: Guido e Christian Penso e Paolo Venuti, commercialista e prestanome dell'ex Doge Giancarlo Galan (i due sono stati insieme sugli altari della politica e nella polvere dello scandalo Mose); Alessandra Farina, moglie di Venuti e due promotori finanziari svizzeri, Bruno De Boccard e Filippo Manfredi San Martino di San Germano d'Agliè. 
Seppur non indagati perché i reati sono prescritti o i soldi portati all'estero sono stati scudati o fatti rientrare con la Voluntary Disclosure, i veri protagonisti sono però proprio gli imprenditori veneti. Che nelle banche di paesi off-shore avevano deciso di depositare i soldi ottenuti dal nero delle loro attività come ammesso davanti agli stessi inquirenti. Lì dove emerge, tra piccoli hotel, nomi in codice, macchine lussuose e promesse, uno spaccato del modo di fare impresa.
LE TRANCHE DA 100MILA Gli immobiliaristi veneziani Fabio e Mattia Campagnaro (che hanno occultato rispettivamente 5 milioni di euro i Campagnaro e 1,2 milioni Marangon), sono tre dei nomi trovati dalle Fiamme Gialle sulla lista De Boccard, l'elenco infinito di imprenditori che avevano messo soldi all'estero. Come si faceva, lo dicono loro stessi alla Finanza, il 30 dicembre 2016.
«Per quanto riguarda le società in Romania ci avvalemmo di un professionista svizzero - racconta Flavio Campagnaro - Tramite lui aprii una società panamense su sua indicazione, per l'investimento in Romania». È grazie a questa che Fabio Campagnaro incontra sia Bruno De Boccard che Filippo San Martino per costituire la società panamense Navee Trading Corp, iscritta alla lista del faccendiere svizzero. «Negli anni grazie alla mia attività imprenditoriale ho accumulato ricchezze anche provenienti da evasione fiscale. Lo sapete, era la prassi, anche indotta dall'esagerata pressione fiscale - dice, ai finanzieri - I soldi in nero avevo bisogno di depositarli all'estero». Ecco entrare in gioco i due professionisti, con nomi in codice. «Il deposito sui conti svizzeri avveniva tramite strumenti costituiti dai professionisti De Boccard e San Martino. Io avevo un numero telefonico svizzero di riferimento e quando lo chiamavo mi identificavo con un nome di comodo che se non ricordo male era elefante, loro mi mandavano giù uno spallone che veniva a prendere i soldi. Glieli ho consegnati a più tranches non inferiori a 100 mila euro cadauna - si legge nella trascrizione dell'interrigatorio - generalmente presso il ristorante di Scorzé (nel Veneziano) Piccolo Hotel. Ricordo che lo spallone era generalmente sempre lo stesso uomo, del quale non ho mai saputo il nome, che si presentava alla guida di una vettura» sportiva, con targa svizzera. «Avrò chiamato lo spallone tra le cinquanta e le ottanta volte affidandogli quindi, complessivamente, una somma di alcuni milioni di euro. L'ho integralmente scudata». 

IN BANCA CON FILIPPO Più preciso, sullo spallone, è Sergio Marangon, nel calderone dell'inchiesta per aver sottratto 1,2 milioni di euro, socio di minoranza di Campagnaro nella Sunivest Spa, di cui è proprietaria la britannica Sharinton, a sua volta sotto la fiduciaria italiana Sirefid di Banca Intesa. Insieme a Campagnaro, Marangon era anche andato in Svizzera, «a Losanna, un paio di volte per l'apertura dei conti che vennero scudati e intestati a una società di comodo Navee 1 o Navee 2, non ricordo». 
Per la costituzione «ci siamo trovati in banca con un professionista svizzero di nome Filippo. Mi assegnarono un nomignolo, Muflone, che avrei dovuto utilizzare per ogni futuro contatto relativo a tale investimento». Niente denaro, però, all'accensione del conto. Tutto sarebbe avvenuto dopo, in gran segreto. Senza troppe parole. «Le consegne avvenivano presso il vecchio casello autostradale di Dolo (Venezia) - continua Marangon - e, successivamente, presso un ristorantino nei pressi di Scorzé, denominato Piccolo Hotel. L'uomo di circa 40-50 anni che veniva a ritirare il denaro si presentava con un'Audi Sw con targa svizzera. Con lui non vi era assolutamente dialogo e nemmeno so come si chiamasse. Talvolta riceveva la consegna dal finestrino. Con Filippo concordammo che la persona che ritirava la consegna avrebbe ricevuto l'1%, tale provvigione veniva consegnata a parte in una busta inserita nel pacco dei soldi che consegnavo. In tutto 40, 50 mila euro a consegne: iniziate con le Lire. Avrò fatto trenta, quaranta consegne. Il giorno dopo la consegna chiamavo presentandomi come Muflone e l'interlocutore mi confermava l'avvenuto pagamento. Preciso che una volta consegnati i denari erano come versati. Se la persona subiva un furto o un sequestro erano affari suoi. Così era stato concordato con Filippo». 
Che Marangon avrà visto «al massimo tre o quattro volte. In una di queste - conclude l'interrogatorio riportato nella richiesta dal pm Ancilotto -Filippo aveva specificato che se i denari fossero provenuti da armi o droga, si sarebbero potute aprire rogatorie internazionali e potevano scaturire dei problemi. Noi specificammo che si trattava di nero proveniente da evasione fiscale, e null'altro. Lui a quel punto ci disse che in tal caso non ci sarebbero stati problemi».
POLO E LA PAURA Odino Polo, storico albergatore veneziano noto per la gestione degli hotel Colombina, Commedia e Mori d'Oriente è anche lui citato nella richiesta di sequestro firmata dal procuratore aggiunto Ancilotto. Si fa riferimento ad un milione di euro investito tra il 2002 e il 2009 tramite un'altra società con sede a Panama, la Amaury Overseas. La somma è stata poi regolarizzata nel 2009 con lo scudo fiscale. Più volte Polo è stato sentito dalla Finanza nell'autunno del 2016. 
Il tema: i rapporti con Filippo San Martino - conosciuto per la compravendita di un hotel in Svizzera non andato a buon fine - e il milione portato nel paese dei quattro cantoni. «Posso dire certamente che il milione di euro era provento di evasione fiscale - confessa Polo ai militari delle Fiamme Gialle - Se non ricordo male io aprii il conto a mio nome ; poi successivamente su indicazione di San Germano i fondi vennero spostati a nome della società, ma non so essere più preciso. Talvolta, credo ogni sei mesi, mi telefonava dicendomi che sarebbe passato per Padova e che avrebbe potuto darmi informazioni. Ci vedevamo allo Sheraton e ricordo che c'erano generalmente anche altre persone che parlavano più o meno a turno con San Germano. Quando toccava a me mi esibiva dei fogli sui quali era tracciato più o meno l'andamento degli interessi che avevo maturato - continua Polo - Se non sbaglio erano fogli scritti a computer e non documentazione ufficiale. La cosa non mi faceva stare tranquillo e infatti non vedevo l'ora di rientrare del capitale, che per me era consistente. Infatti aderii subito quando vi fu la possibilità di rientro garantita dallo scudo fiscale, non volevo incorrere in procedimenti penali per la cospicua somma investita all'estero, atteso che ero consapevole di aver impiegato in Svizzera importi sottratti al fisco italiano».

I BERNARDI E I SOLDI DEL PADRE Mariarosa Bernardi (hotel Antoniano di Montegrotto) e il fratello Stefano (hotel Apollo sempre a Montegrotto). Sono citati per 3 milioni investiti con la panamense Previa Management Corp tra il 2002 e il 2009, soldi poi soggetti a scudo fiscale. «Mio padre circa agli inizi del 2000 ci disse di aver accumulato una consistente ricchezza grazie al nero di due alberghi che egli aveva storicamente gestito», l'Apollo e l'Antoniano, ora passati ai figli. «In sostanza - continua la deposizione di Stefano Bernardi - ci avvertiva che alla sua dipartita ci avrebbe lasciato oltre ai due alberghi, anche tale ricchezza all'estero. Io e mia sorella ci occupammo del rientro dei capitali eseguito nel 2009 attraverso scudo fiscale. I miei genitori ci avevano informati che erano loro direttamente a recarsi in Svizzera, a più riprese negli anni, per portare i soldi in contanti non dichiarandoli alla dogana. Ricordo che anche loro andavano in macchina. Tali viaggi avvenivano approssimativamente con frequenza annuale».
IL VICEPRESIDENTE TERMALE Imprenditore termale anche Giovanni Gottardo, il titolare dell'hotel Garden di Montegrotto e vicepresidente del nuovo ente Terme Colli Marketing. Il suo nome compare per un investimento tracciato negli anni 2002, 2007, 2009 e 2011 di mezzo milione di euro con la società svizzera Eigenrz Sa e con la società Fory 33, sempre tramite l'assistenza di un professionista. «A fine anni 90 avevo bisogno di fare cassa per terminare di liquidare l'ultimo fratello - racconta Gottardo alla Finanza che lo interroga nell'ottobre 2016 - e i miei risparmi li avevo affidati a tale Mazzucato, all'epoca direttore della filiale di Abano della Cariparo. Dopo un po' mi propose di investirli all'estero. Ricordo che io gli affidavo i denari e una quindicina di giorni dopo mi dimostrava di averli versati. Si trattava di franchi svizzeri. De Boccard e San Martino me li nominava Mazzucato. San Martino, da come mi diceva Mazzucato, era un loro collaboratore svizzero. Quando chiedevo riscontri, Mazzucato mi faceva vedere quattro conti senza la consegna di documentazione particolare».
 
 
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Potrebbe interessarti anche
caricamento

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci