La Camorra in Veneto era pronta a sparare: sventato attentato a un imprenditore

Venerdì 29 Novembre 2019 di Gianluca Amadori
Il presunto boss della Camorra Luciano Donadio
1
«Dobbiamo sparare a quel pezzo di m... che ha fatto arrestare Luciano». Sarebbe stato Christian Sgnaolin, il manager uomo di fiducia di Luciano Donadio, il più determinato nel voler dare una lezione all'imprenditore che, nel 2006, aveva denunciato il presunto boss della camorra di Eraclea per un prestito usuraio, costringendolo poi a patteggiare poco meno di 2 anni di reclusione. A raccontare la circostanza al pm Roberto Terzo è stato Vincenzo Vaccaro, all'epoca affiliato all'organizzazione criminale legata al clan dei casalesi, successivamente diventato collaboratore di giustizia e sottoposto a regime di protezione. Al magistrato ha riferito di essere stato contattato per mettere a segno una missione punitiva ai danni di quell'imprenditore sandonatese: «Non dovevo ucciderlo, ma solo  sparargli addosso per avvertimento», ha spiegato. La pistola da utilizzare era una 7.65 con silenziatore, di proprietà di Donadio, che sarebbe stata custodita in luogo sicuro dal fedele Tommaso Napoletano, oggi ritenuto partecipe dell'associazione di stampo mafioso contesta dalla Procura a carico di 37 persone. Vaccaro ha raccontato che a fornire la motocicletta e il casco da utilizzare sarebbe stato un altro amico di Donadio e i dettagli dell'operazione furono definiti nel corso di una riunione alla quale era presente anche Sgnaolin. L'attentato alla fine non fu messo in atto: «Collaboravo già con la Guardia di Finanza - ha spiegato Vaccaro - e diedi avviso così da sventarlo».
IL BOSS IOVINEGli atti dell'inchiesta sulle infiltrazioni camorristiche in Veneto sono pieni di episodi inediti, raccontati dai numerosi indagati che hanno accettato di rispondere alle domande degli inquirenti, fornendo dichiarazioni che dovranno ora trovare riscontri processuali. A riferire dei contatti di Donadio con esponenti di alto livello della Camorra è stato uno dei suoi nipoti, Giacomo Fabozzi (anche lui indagato per associazione mafiosa), il quale ha riferito di averlo accompagnato ad Ostia ad incontrare un pezzo da novanta dell'organizzazione criminale, Salvatore Iovine, da lui conosciuto «fin da giovane». La visita risale al periodo in cui Donadio stava cercando di recuperare i 10 milioni di euro che l'imprenditore di Caorle, Samuele Faè, aveva investito con il trader finanziario poi fallito, Fabio Gaiatto. Il tentativo di riscossione era diventato difficile a seguito dell'arrivo di un gruppo di napoletani che si dichiararono inviati da Iovine per recuperare i loro soldi, e che ingiunsero al boss di Eraclea di farsi da parte. «Nel viaggio di ritorno da Ostia Donadio era preoccupato... - ha ricordato Fabozzi - rischiava di cacciarsi nei guai». Tanto da consigliare a Faè di lasciar perdere e di accontentarsi di quel poco che sarebbero riusciti a farsi restituire. «Mio zio non è un vero mafioso, gli piace apparire... in realtà non era pericoloso come voleva mostrarsi», ha dichiarato Fabozzi.
GLI ESORDI DA SPAZZINOSul passato del boss di Eraclea ha riferito Antonio Basile, accusato di aver collaborato con l'organizzazione criminale accettando di intestarsi società poi utilizzate per frodi ed evasioni fiscali: «Conosco Donadio dall'infanzia, abitavamo a 200 metri nella stessa strada a Casal di Principe - ha raccontato - Ricordo che all'epoca facevo lo spazzino per il Comune». 
Il salto nell'ambiente imprenditoriale di Donadio, con annesse attività illecite, sarebbe quindi avvenuto dopo il trasferimento ad Eraclea, dove iniziò ad occuparsi di edilizia, mettendo manodopera a disposizione di varie società, principalmente quelle dell'amico e sodale Graziano Poles, imprenditore di Eraclea ora accusato di partecipazione nell'associazione mafiosa.
Gianluca Amadori
© RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci