Il virus presenta il conto: dopo la "fiammata" iniziale ora i negozi sono allo stremo

Mercoledì 1 Luglio 2020 di Marco Agrusti
Un negozio di Pordenone dopo la riapertura del 18 maggio
PORDENONE - Una piccola “fiammata”, proprio alla fine del lockdown. Una breve ripresa degli acquisti, con effetti positivi sui fatturati dei negozianti soffocati dal blocco. Ma l’effetto della voglia di spendere dettata dal desiderio di uscire dopo la quarantena è già finito. E adesso, utilizzando le parole pronunciate ieri da Alberto Marchiori, presidente di Ascom Pordenone, «i nodi sono venuti al pettine». I clienti nei negozi sono diventati più rari, si fa fatica a coprire i costi fissi e appena si chiuderà il “paracadute” della cassa integrazione (il settore spera in una proroga sino a fine anno) centinaia di posti di lavoro (solo nel capoluogo) rischieranno di saltare. I contratti a tempo determinato, invece, sono già stati polverizzati nella prima fase dell’emergenza, senza aver mai intravisto nemmeno una tenue ripresa. 

L’ALLARME
Perché, dopo i buoni segnali di metà maggio (i negozi al dettaglio hanno riaperto dal 18 del mese), è stata registrata una frenata degli acquisti? Un ruolo possono averlo giocato la curiosità e la voglia di tornare a spendere dopo il blocco di marzo e aprile. La curiosità si è esaurita in poco tempo e la voglia di spendere si è scontrata con la sempre più generalizzata difficoltà economica con cui sono alle prese le famiglie, anche pordenonesi. Ma alla base della flessione in realtà sembrano esserci le stesse ragioni che fanno lavorare a mezzo servizio i ristoranti: semplicemente ci sono meno clienti, perché meno persone frequentano il centro storico di Pordenone. Le cause? Il lavoro da remoto, con gli uffici ancora mezzi chiusi, e la mancata ripartenza delle scuole, che ha tolto dalle strade della città i genitori che dopo aver lasciato i propri figli in classe erano abituati a un giro in centro. «Abbiamo vissuto un buon periodo immediatamente dopo il lockdown - ha spiegato Antonella Popolizio, referente locale di Federmoda e rappresentante del comparto dell’abbigliamento - ma adesso stiamo assistendo a un nuovo periodo di sofferenza per i negozianti. Il problema è legato alla scarsità di clienti: quelli che scelgono di entrare nei negozi generalmente spendono, ma paghiamo l’assenza in centro storico di tutte le persone che c’erano prima dell’emergenza. Lo smart working sta allontanando i nostri clienti fissi, quelli che frequentavano giornalmente il centro di Pordenone. Ma pesa anche lo stop prolungato delle scuole: tante mamme, ad esempio, dopo aver lasciato i bambini ne approfittavano per fare acquisti. Tutte queste categorie di persone sono scomparse». Così il comparto, dopo un “rimbalzo” immediatamente successivo al lockdown, rischia un ulteriore ribasso che potrebbe superare il 30 per cento alla voce fatturato. «Sono i nodi che vengono al pettine - ha ammesso Marchiori -, la difficoltà la avvertiamo ogni giorno». Anche Emanuele Loperfido, assessore Pordenonese al Commercio, parla di una «prima ondata di acquisti che ci sembra terminata, mentre ora si assiste a una nuova sofferenza dei negozi». 

L’OCCUPAZIONE
Il principale impatto della crisi Covid si è già abbattuto sui contratti a termine. «La maggior parte - ha spiegato Antonella Popolizio - non è stata rinnovata». E questo solo per quanto riguarda il comparto dell’abbigliamento. Gli impegni a tempo indeterminato per ora sono salvi, ma solo grazie al blocco dei licenziamenti e alla possibilità di usufruire della cassa integrazione. L’eventuale proroga delle due misure almeno sino al 31 dicembre contribuirebbe a salvare i posti di lavoro, ma la discussione in seno al governo è ancora accesa. Il comparto pordenonese, senza più un salvagente, rischierebbe di perdere centinaia di addetti. 
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