Il virus torna a circolare, ecco il piano per salvare gli anziani delle case di riposo

Domenica 23 Agosto 2020 di Redazione
La casa di riposo Micoli-Toscano di Zoppola, la più colpita nella fase uno
PORDENONE - È dimostrato, il virus oggi è più diffuso tra i giovani, e gli effetti clinici sono minori. Gli ospedali sono semivuoti, le persone che manifestano i sintomi pochissime. Ma la minaccia resta, perché se il contagio dovesse trasferirsi dagli asintomatici (la cui capacità di infettare è ancora oggi oggetto di dibattito) agli anziani più fragili, allora le conseguenze potrebbero tornare ad essere pesanti, anche in termini di vite umane. Per questo in provincia è scattato un piano finalizzato a stringere ancora di più le maglie della sicurezza all’interno delle residenze protette e delle case di riposo, centri falcidiati dal contagio durante la prima fase della pandemia. E c’è un solo obiettivo: chiudere le porte in faccia al virus. Per provarci, ecco la stretta impostata in accordo tra i direttori delle strutture, l’Azienda sanitaria e la Regione. 
LE REGOLE
Se il virus dovesse tornare a picchiare duro sulla fascia più debole e anziana della popolazione, ogni struttura dovrà avere una zona rossa nella quale sistemare i pazienti positivi, isolandoli dagli altri. L’obiettivo è quello di evitare un’altra Castions, con il suo bilancio di 18 morti alla casa di riposo Micoli-Toscano. In quel caso non si è riusciti in tempo a spezzare la catena del contagio. «A San Vito - spiega Alessandro Santoianni, direttore della struttura locale - abbiamo preparato un’ala dell’edificio come un reparto, ma potremmo gestire al massimo 20 persone». Dopodiché i posti sarebbero terminati. Ma la strategia in realtà può essere sdoppiata: le case di riposo, infatti, dovrebbero rimanere libere dal contagio, e al primo caso positivo sarebbe auspicabile il trasferimento del paziente in un’altra sede. Ed ecco che in questo caso entrerebbe in gioco la Rsa di Sacile. Le polemiche sulla trasformazione della struttura in un reparto Covid riecheggiano ancora, ma è proprio lì che finirebbero i pazienti positivi delle case di riposo. Il problema, infatti, è più sentito nelle strutture per anziani più piccole della provincia, dove non ci sono gli spazi per allestire dei veri reparti Covid in grado di isolare i positivi e di proteggere allo stesso tempo gli ospiti negativi. La strategia è stata tracciata in questi giorni di concerto con l’Azienda sanitaria. Il protocollo funzionerà così: se i positivi saranno pochi, si proverà a “salvare” le strutture trasferendoli a Sacile; se invece a una prima indagine risulteranno più contagiati, allora si allestirà il reparto ad hoc. Ma le regole non si limiteranno al trattamento dei pazienti positivi nelle strutture per anziani. Un altro nodo, infatti, è quello relativo alla protezione sanitaria degli operatori che lavorano all’interno delle case di riposo e delle Rsa della provincia. Nella maggior parte dei casi, infatti, il contagio è partito proprio da infermieri e oss, e ora con il rientro dalle ferie dei dipendenti e dei collaboratori il problema si fa più pressante. Per questo nella quasi totalità delle case di riposo della provincia ora è richiesto il tampone negativo per chi rientra al lavoro. Una prassi che ad esempio a San Vito è in vigore già prima che il ministero della Salute rendesse obbligatorio il test per chi torna da alcuni Paesi a rischio. 
LE VISITE
Il timore che il virus possa rientrare nelle case di riposo fa sì che anche le regole sulle visite dei parenti non possano ancora essere allentate. Su questo fronte, la pressione dell’utenza è tanta: si vorrebbe più flessibilità, sia in relazione al tempo massimo consentito per una visita che alla frequenza degli incontri. Ma tutti i protocolli sono stati confermati. Abbassare la guardia costerebbe caro. 
Ultimo aggiornamento: 10:10 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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