Trentamila chilometri per raccontare il cambiamento climatico: il viaggio della ricercatrice Valeria Barbi

Mercoledì 12 Gennaio 2022 di Valentina Slivestrini
La ricercatrice pordenonese Valeria Barbi

PORDENONE - Trentamila chilometri attraverso le Americhe, dal profondo nord di Prudhoe Bay in Alaska, ai confini del mondo a Ushuaia in Argentina al cospetto dell’Antartide: è il viaggio lungo la leggendaria strada Panamerica per registrare gli effetti del cambiamento climatico sugli ecosistemi e sulle specie animali. Una ricerca sul campo che durerà dal luglio 2022 all’agosto 2023, lunga circa 30mila chilometri attraverso quattordici Stati, e che sarà compiuta dalla 38enne pordenonese Valeria Barbi (naturalista esperta di cambiamento climatico e biodiversità, tema di cui è docente per Ispi, Politecnico di Milano, Università Bocconi, Faculty della Sole 24Ore Business School, Ambasciatrice del Patto Ue per il clima dalla Commissione Europea e Colibrì d’Onore riconosciutole da Save The Plane) assieme al marito Davide Agati (fotografo e videomaker siracusano di 41 anni), accompagnati dal loro cane Thabo.
La loro impresa è Wane, l’acronimo inglese di “We Are Nature Expedition”, una spedizione alla scoperta di specie animali e vegetali che rischiano di scomparire, progetto che alle spalle ha 13 mesi di progettazione e che da oggi è anche un sito web (www.wearenatureexpedition.org) e un profilo social su Instagram.


Perché proprio questo itinerario?


«Sarà un reportage sul campo su quanto sta accadendo sul pianeta, pertanto abbiamo individuato un itinerario che attraversasse molteplici ecosistemi per registrare come la scomparsa della biodiversità, seppur dall’altra parte del pianeta, abbia effetti diretti su tutti noi.

Lo documenteremo attraverso la voce di chi subisce in maniera diretta gli impatti della crisi ecologica. Spesso si discute di crisi climatica, ma non altrettanto della crisi biologica, invece la biodiversità è la più grande alleata proprio contro il cambiamento climatico».


In che modo la biodiversità ha effetti diretti su di noi?


«Qualche esempio: l’eparina è il farmaco più utilizzato nelle nostre sale operatorie e deriva da una molecola della saliva delle sanguisughe, una specie animale fondamentale per l’uomo. In questo momento sono due diverse equipe di ricerca, una statunitense e una cinese, che stanno studiando le lucciole e i processi di luciferina e luciferasi. Studiando il fenomeno della bioluminescenza sono riusciti a rendere più efficienti le luci led. Perdere una specie significa disperdere un patrimonio ma anche potenziali scoperte scientifiche di cui potrebbe beneficiare l’umanità».


Come sarete organizzati?


«È un lavoro molto lungo di preparazione. Ho mappato e studiato l’itinerario e gli ecosistemi che incontreremo, attivando una rete internazionale con associazioni come Artic Angels, enti e imprese sostenitrici come Vcs Group. Vorremmo ridurre il più possibile la nostra impronta di carbonio, quindi viaggeremo con un van attrezzato per affrontare ambienti molto differenti e a diverse altitudini. Lo faremo arrivare da Anversa ad Halifax in Canada che poi attraverseremo fino a raggiungere Prudhoe Bay in Alaska (dove si trova il più grande giacimento petrolifero degli Usa, ndr) per poi ridiscendere lungo la Panamericana fino alla punta estrema del Sud America. Stiamo raccogliendo partnership e sponsorizzazioni: per compensare le nostre emissioni di anidride carbonica collaboreremo con l’associazione Zero CO2 che attua progetti di riforestazione in Guatemala. Abbiamo come media partner LifeGate e la rivista Natura. E da oggi inizia la campagna di comunicazione e in futuro di crowdfunding».


Come racconterete il progetto?


«In estate è in uscita un libro che mi sta occupando moltissimo e che tratta di queste tematiche. Poi ci sarà il reportage che sarà raccontato di giorno in giorno, cui seguiranno delle pubblicazioni, anche fotografiche, e un documentario video racconto».


Occuparsi ogni giorno del cambiamento climatico implica misurarsi con scenari difficili e poco speranzosi. Come lo si affronta?


«Talvolta ti senti sopraffare perché ormai è chiaro che abbiamo ancora veramente poco tempo prima del punto di non ritorno. Stiamo distruggendo i nostri unici alleati, pensi alle foreste di mangrovie che sono una delle maggiori risorse di protezione contro gli eventi estremi. Però c’è la sensazione di occuparsi di qualcosa che riguarda l’umanità e di potere dare un contributo e questo dà forza».


Un’impresa di questo tipo è compatibile con la pandemia?


«È proprio dalla pandemia che nasce, dopo un’intervista che feci a David Quammen a dicembre del 2020. Volevo indagare ancora di più il rapporto uomo-natura iniziando dalle comunità native americane per capire se e come questa pandemia avrebbe cambiato il nostro rapporto con la natura».

Ultimo aggiornamento: 19:52 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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