PORDENONE - Il naso che gocciola, la gola pizzica.
LA TESTIMONIANZA
Il “calvario” è iniziato venerdì 9 ottobre. «Mia figlia - racconta oggi il padre - ha iniziato ad avere un po’ di raffreddore. Niente febbre, non aveva nemmeno tosse. È tornata a casa da scuola ed è passato il fine settimana. Avevamo chiamato il pediatra, ma era possibile un consulto soltanto il lunedì successivo, e così è stato. Dopo molte ore di attesa, dal mattino alle nove sino alle diciassette, siamo riusciti a metterci in contatto con il professionista». A quel punto è scattato un consulto telefonico, non in presenza. «La risposta è stata chiara: serviva il tampone per poter tornare a scuola - precisa ancora il genitore che ha scelto di raccontare la sua storia e quella di sua figlia al Gazzettino -. Da quel momento è iniziata un’altra rincorsa. Mia figlia è rimasta sempre a casa, senza muoversi, in attesa del test». Uno, due, tre giorni. Poi la convocazione al Deposito Giordani, accompagnata dalla madre. «Hanno fatto la coda, fino all’effettuazione del test diagnostico. Ci hanno detto che ci avrebbero comunicato tempestivamente l’eventuale positività al Coronavirus - prosegue sempre il padre dell’alunna -. Ma noi avevamo bisogno anche del referto legato a un’eventuale negatività per poter tornare a mandare la bimba a scuola». E qui il sistema si è inceppato di nuovo.
IL NODO
La storia è figlia delle norme nazionali, che impongono un certificato di negatività per tornare tra i banchi a frequentare le lezioni in presenza. «Non abbiamo risposta - continua il genitore “intrappolato” nel dedalo di norme legate alla scuola -. Venerdì il pediatra ha potuto verificare con l’Azienda sanitaria il risultato del test. Non abbiamo ricevuto una comunicazione, quindi presumiamo che il test abbia dato esito negativo, ma a conti fatti non lo sappiamo e nostra figlia non può andare a scuola». Ed è quello che è accaduto ieri, quando la bimba non ha potuto prendere lo zaino in spalla e tornare in classe. È ancora in una sorta di limbo. Una quarantena di fatto che le impedisce qualsiasi attività. Il tutto per un certificato che non arriva e che la rende prigioniera. «Sia chiaro - precisa il padre -: il raffreddore è sparito dopo i primi due giorni, quindi ormai da più di una settimana. Mia figlia sta benissimo. E una vicenda che purtroppo si commenta da sola. Ho aspettato molto tempo prima di renderla pubblica, ma come famiglia ci sentiamo presi in giro. C’erano otto mesi per pianificare un ritorno a scuola che non fosse solo sicuro, ma anche confortevole, e il risultato purtroppo è stato questo. Ora speriamo che mia figlia possa tornare a lezione al più presto e che questo piccolo incubo possa trovare la sua fine. Ma la sfiducia, almeno per quanto mi riguarda, ora è il sentimento dominante».