"Il Sudafrica senza Mandela", viaggio e libro fotografico di due reporter del Nordest

Venerdì 13 Settembre 2019 di Gi. Bi.
"Il Sudafrica senza Mandela", viaggio e libro fotografico di due reporter del Nordest
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PORDENONE – Una fotografia del Sudafrica orfano da quasi 6 anni del suo grande leader ed ex presidente Nelson Mandela. L’hanno "scattata" sul posto e poi trasformata in un'opera editoriale di rara completezza, due reporter del Nordest: il giornalista Letterio Scopelliti (per oltre 20 anni al Gazzettino) e il fotografo vittoriese Davide De Blasi, che vive e lavora a Conegliano (Tv). ll libro è “Cape Town, la seconda città. Il Sudafrica senza Mandela” (pagine 150, edito da www.fdlcommunication.it): una mostra fotografica dal 18 settembre e un incontro tra gli autori e Cècile Kashetu Kyenge, il 22 settembre, anteprima nell’ambito del festival Pordenonelegge, saranno occasione di illustrare l'opera e di fare il punto sull’eredità di Mandela in Sudafrica che qui affrontiamo in un'intervista agli autori.

Quale impressione vi ha dato il Sudafrica di oggi?

«Quella di una rivoluzione mancata.
Quando Mandela è uscito di prigione è riuscito a garantire la pace, il suo merito è stato quello di evitare una guerra civile, sicuramente alle porte. Ma non ha potuto lavorare e dedicarsi a un’altra richiesta dei sudafricani: non solo la pace, ma anche la giustizia. Per noi europei che siamo abituati a immaginare il Sudafrica come quel mezzo continente che somiglia più all’Europa che all’Africa è difficile da credere, ma il Paese che fu di Mandela è ogni giorno sempre più a rischio polveriera
».

Il tempo della riconciliazione è finito?

«Pare proprio di sì, basti pensare che la disoccupazione è arrivata al 40 % e l’agricoltura, settore fondamentale, è sempre più minacciata dalla siccità e lo Stato fatica ancora oggi a fornire case, elettricità, acqua e strutture sanitarie. A molti di noi piaceva immaginare che in Sudafrica, dopo la liberazione di Mandela e le successive elezioni libere tutto sarebbe andato bene».

Invece?

«Invece in questo Paese, grande 4 volte l’Italia, il futuro non è più quello di un tempo. E quel “Lungo cammino verso la libertà” - per citare il titolo dell’autobiografia di Mandela - che avrebbe dovuto portare il popolo nero verso la conquista della dignità non si è compiuto. E’ stato definito sia il "prigioniero politico più famoso del mondo" sia "la grande speranza nera del Sudafrica”, ma dopo di lui si sono avuti l’aumento della povertà e delle disuguaglianze. Il Sudafrica ha dovuto fare i conti con una terribile crisi economica. A questa si aggiungono vari record negativi: il più alto numero al mondo di affetti da Hiv (5 milioni e 700 mila, più del 10%), il maggior numero di violenze sessuali (132 ogni 100 mila abitanti) e il più alto tasso di omicidi: oltre 60 ogni 100mila abitanti».

Una rivoluzione a metà, dunque?

«Sì, il sogno della Nazione Arcobaleno (sono 11 le lingue ufficialmente riconosciute) è stato realizzato in parte. Dal 1994, l’Anc (Congresso Nazionale Africano) è il primo partito. Ma il dissenso verso il governo è diffuso. La crisi di un’azienda di Stato, dove i neri hanno preso gran parte dei posti ai bianchi, è l’emblema della situazione sociopolitica: impreparazione, corruzione e disoccupazione. Il salario minimo garantito è di 4mila rand al mese (circa 250 euro). La questione delle terre rimane uno dei nodi, forse quello centrale, oggi nel Paese: ogni giorno violenze nelle farm dei bianchi per riconquistare le “lands” anche con omicidi. I neri vogliono riappropriarsi delle terre, a qualunque prezzo anche quello della morte.

Il Sudafrica ha appena celebrato i 25 anni dalla fine dell'apartheid, perché c’è ancora tanta disuguaglianza sociale ed economica?

«Il 27 aprile 1994 in effetti prese avvio una nuova era per il Paese dopo oltre 45 anni di segregazione razziale creato dalla minoranza bianca a fine anni '40, ma oggi i giovani vivono sulla loro pelle ancora numerose discriminazioni e soprusi senza reagire.. Loro non hanno vissuto quegli anni e questo è un motivo del loro disinteresse, come ci hanno spiegato due giovani poetesse sudafricane. Il loro Paese viene raccontato troppo spesso da Hollywood, ma in modo poco aderente alla realtà».

Che cosa resta della lotta di Nelson Mandela contro le discriminazioni, la schiavitù e l’ignoranza?
«Il sogno di un Sudafrica arcobaleno oggi è solo in parte realizzato. Da presidente non ha saputo avviare un reale processo di equa distribuzione della ricchezza e oggi il Sudafrica è ancora diviso. A pensarla così è Barry Gilder, oggi noto scrittore, dopo aver servito il governo democratico del Sudafrica come vicedirettore generale della National Intelligence Agency (Servizi Segreti) e coordinatore nazionale per l'Intelligence del Sudafrica.  «Non si può capire la storia senza capire le persone e il modo in cui interagiscono con la storia. La nostra libertà ci è stata concessa, non siamo riusciti a conquistarla. Noi abbiamo preso il potere politico, ma - spiega - non abbiamo conquistato quello economico. Ma soprattutto non siamo riusciti a cambiare il potere ideologico. Non siamo riusciti a entrare nel cuore del Paese, cioè nella cultura antirazzista, anticapitalista e antimperialistica. Abbiamo dovuto cedere a tanti compromessi».


Le township sono le ferite aperte dell’Apartheid e oggi rappresentano il cuore del Sudafrica e anche il cuore del libro “Cape Town, la seconda città. Il Sudafrica senza Mandela” (pagine 150, edito da www.fdlcommunication.it). Il testo è di Letterio Scopelliti, giornalista per oltre vent’anni de Il Gazzettino, e contiene una ottantina di immagini di Davide De Blasi.

 
Ultimo aggiornamento: 16 Settembre, 15:50 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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