Specializzandi "di primo pelo" in Pronto soccorso, l'appello dal Friuli: «Fateli lavorare, ma mai a contatto con chi è grave»

Giovedì 19 Maggio 2022 di Marco Agrusti
Pronto soccorso
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In Veneto, pochi chilometri da qui, la proposta è arrivata (ed è stata votata) in consiglio regionale: gli specializzandi del primo anno potranno essere “utilizzati” nei reparti di Pronto soccorso.

Cioè nell’ambito che soffre di più la carenza di medici in tutto il comparto sanitario. Allo stesso tempo e nella stessa norma, si prevede anche la possibilità di mandare negli ambulatori i neolaureati. In Friuli Venezia Giulia la situazione di partenza è la stessa: i Pronto soccorso sono al collasso e non si trovano professionisti. Ecco allora che proprio da chi vive e tocca con mano l’emergenza ogni giorno arriva una pressione affinché anche da noi sia presa una strada simile. Ma ci sono dei distinguo e delle staccionate rispetto a un modello - quello veneto - giudicato eccessivamente rischioso». 


LA SPINTA


A rappresentare gli anestesisti e i rianimatori della regione è Alberto Peratoner. E non è tra le voci che si oppongono all’operazione. «Il lavoro degli specializzandi del primo anno in Pronto soccorso? Non è un’ipotesi da buttare nel cestino - spiega -. Noi già possiamo far lavorare quelli del terzo anno e in un momento di emergenza come quello che stiamo vivendo, sarebbe fondamentale poter avere più forza lavoro. Attenzione, però, perché sarebbe comunque importante distinguere bene i compiti: agli specializzandi del primo anno non potrebbero essere affidati codici gialli o rossi, che richiedono competenze strutturate e anni di esperienza. Pensiamo ad esempio ai codici bianchi o verdi, che ricordiamo rappresentano la maggioranza degli accessi in Pronto soccorso. Un altro dettaglio importante riguarderebbe l’affiancamento: nessuno specializzando dovrebbe trovarsi da solo. Resterebbe fondamentale il lavoro del tutor al suo fianco». Una linea, questa, non rinnegata del tutto nemmeno dal presidente pordenonese dell’Ordine dei medici, Guido Lucchini. «Per come siamo messi in questo momento storico - premette - qualsiasi soluzione dev’essere vagliata con attenzione. Ma dobbiamo stare molto attenti: uno specializzando non può avere lo stesso bagaglio di un medico di Pronto soccorso con tanta esperienza alle sue spalle. Si tratta di reparti ad alto rischio, con casi che richiedono una capacità di risolvere problemi in uno strettissimo lasso di tempo. Per questo bisogna stare molto attenti a consegnare nelle mani di uno specializzando del primo anno la salute di un paziente ad alto rischio. L’idea però non è da buttare, a patto che siano divisi i “percorsi”: lo specializzando potrebbe seguire ad esempio i casi meno gravi, sempre affiancato da un collega più esperto però». Più dubbioso il primario di Terapia intensiva Tommaso Pellis, che parla del «rischio per questi giovani di essere sfruttati per la gestione dei casi meno gravi e meno rischiosi, con la conseguenza di realizzare una crescita meno equilibrata. Bisogna evitare che il sistema sbandi prima da un lato e poi dall’altro».
Il vicepresidente della Regione, Riccardo Riccardi, attende le conseguenze di ciò che accade in Veneto. Rimarca che si tratterebbe di competenze che non spettano direttamente alle Regioni, ma che sarebbero interamente governative. Si parla comunque di una forzatura che potrebbe essere utile anche in Friuli Venezia Giulia, anche se ciò che temono i piani alti della Regione sono le conseguenze di una “riforma” in eccesso di competenza, soprattutto in caso di errori che riguardano i pazienti. 


LA VOCE CONTRO


A parlare sulla proposta di far lavorare gli specializzandi “di primo pelo” o i neolaureati negli ambulatori è anche Gian Luigi Tiberio, presidente dell’Ordine dei medici della provincia di Udine. «Come presidente - spiega - vedo questa possibilità con grande preoccupazione. Il nostro ruolo dev’essere sempre quello di garantire ai cittadini le migliori cure possibili e le massime garanzie. Se fossi un cittadino, sarei preoccupato di ricevere le cure da una persona che sta ancora trascorrendo il suo periodo di formazione. Sarebbe come se chi fa scuola guida fosse messo già al volante di un autobus pieno di persone».

Ultimo aggiornamento: 16:59 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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