Personale al lumicino, liste d'attesa lunghe, medici di base: il 2023 sarà l'anno della sfida sulla sanità

Sabato 31 Dicembre 2022 di Loris Del Frate
Un reparto in ospedale

Se quello che si è chiuso è stato senza dubbio un anno molto complicato per la sanità regionale, il 2023 che si aprirà domani, non sarà certo meno duro.

Le sfide da affrontare sono parecchie e non esiste ovviamente la bacchetta magica. In più ad aprile si andrà al voto per le regionali, quindi è facile capire che ci sarà un periodo di blocco delle attività durante la campagna elettorale e poi per la formazione della nuova giunta. Non è da escludere che se il Centrodestra dovesse vincere le elezioni, l’attuale assessore, Riccardo Riccardi, possa fare il bis. Del resto ha già la conoscenza delle questioni e poi la sanità è un osso duro che tutti cercano di evitare. Lui lo ha già affrontato.


LE SFIDE


Indipendentemente da chi ci sarà alla guida, comunque, resta il fatto che sul tavolo ci saranno da affrontare diverse sfide e che sarebbe meglio vincerle (almeno alcune) per evitare che il sistema sanitario regionale - e non certo per colpa degli ultimi arrivati - vada in totale deperimento. La discesa, non ci sono dubbi, è già iniziata da tempo. In ogni caso le sfide sono quelle legate al personale, alla necessità di dare risposte più veloci alle liste d’attesa, non mettere sotto scacco l’emergenza e ultimo, ma sicuramente non meno importante degli altri, curare il territorio fornendo risposte agli utenti.


IL PERSONALE


È il primo dei problemi. Se ci sono buchi in organico tutto il resto arriva di conseguenza. La questione, naturalmente non interessa solo il Friuli Venezia Giulia, ma è un problema nazionale. È pur vero, però, che in regione (e in particolare nel pordenonese) oltre ad avere carenze di operatori (medici e soprattutto infermieri) c’è anche un’altra caratteristica negativa: la disaffezione di chi è ancora al lavoro che si caratterizza con la volontà (sempre più spessa realtà) di andarsene. Segno che manca “l’orgoglio di appartenenza” alla sanità pubblica soprattutto per il fatto che i lavoratori sono stremati. Non ce la fanno più e ogni giorno è più pesante del precedente. Il primo punto, quindi, è riuscire a tenere quelli che già ci sono, poi, magari, con qualche politica incentivante (più soldi per intenderci), provare a verificare la possibilità di concedere benefici per gli alloggi o altre iniziative per portarne via alle strutture venete e magari farli venire qui da altre regioni. Il tutto tenendo i nostri laureati “in casa” e incentivando le specializzazioni per i medici. Alcune cose sono già state fatte, ma evidentemente non bastano.


LISTE D’ATTESA


È un altro grosso problema. I tempi attuali, complice anche l’intasamento creato dal Covid, non sono assolutamente in linea con una sanità che deve dare risposte. Stessa cosa per gli interventi chirurgici programmati. Non caso c’è la fuga verso il Veneto. Anche su questo fronte è necessario dare risposte più concrete. L’Oculistica di Pordenone che era nel marasma più nero e con attese bibliche ce l’ha fatta e oggi veleggia con attese quasi teutoniche. Bravo il primario, i medici e tutti quelli che lavorano nel reparto. Ma non sono Superman. Se ce l’hanno fatta loro possono farcela anche gli altri. Un modello che forse va valorizzato.


PRONTO SOCCORSO


Mancano medici e soprattutto mancano risposte sul territorio quindi si allunga la fila al pronto soccorso per farsi curare, anche quando non serve. I medici vanno “coltivati” e come per il resto del personale, vanno motivati e incentivati con premi economici. Si può fare. Ovviamente serve tempo, ma se mai si inizia ...


TERRITORIO 


Ospedale di comunità, infermiere di quartiere, casa di continuità assistenziale. Tutto bello e tutto giusto, ma mettere in fila queste cose sulla carta sapendo bene che allo stato sono improponibili (se non altro per il semplice fatto che servono almeno 400 nuovi infermieri oltre ai 450 che già ne mancano) serve a poco. Anzi a nulla. Intanto è fondamentale trovare nuovi medici di medicina generale (la Regione ha già fatto bene a dare una mano con gli assistenti di ambulatorio) e poi gli utenti - per evitare di andare al pronto soccorso - devono avere la possibilità di trovare un medico almeno sino alle 22 e che abbia in ambulatorio qualche piccola apparecchiatura per fare gli esami più semplici ma che tranquillizzano. Non è difficilissimo spingendo i professionisti a lavorare in gruppo e magari chi lo fa viene ripagato. Economicamente s’intende. Infine è necessario potenziare l’assistenza domiciliare ricordandosi che chi è ammalato sta male anche il sabato e la domenica quando su gran parte dei territori non si trovano servizi e l’ospedale è l’unico faro acceso. Certo, non tutto è così semplice, ma è necessario iniziare a camminare su questa strada. Già dal primo gennaio del 2023.

Ultimo aggiornamento: 08:17 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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