Sabrina: «Io ammalata, volontaria estrema che assiste i moribondi»

Lunedì 25 Dicembre 2017 di Antonella Santarelli
Sabrina Cimpiel, 35 anni
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PORDENONE - Se la incontri tra le corsie d'ospedale, vedendo che si affatica con le stampelle, il busto e i tutori ai polsi e alle caviglie, ti viene voglia di aiutarla, quantomeno di lasciarle il passo o di scostarle la sedia per farla sedere. Invece, quella ragazza dall'aspetto un po' rock, con i capelli rosa e il sorriso facile, non è lì per curarsi, ma, cosa incredibile, per accudire e dare conforto agli ammalati, spesso terminali. Persone che magari non ha mai conosciuto prima, che però cura con un'attenzione e un amore difficile da comprendere.

Sabrina Cimpiel, 35 anni, di Tiezzo di Azzano Decimo, dice di avere il dono. Così definisce in sintesi quel concentrato di sofferenza estrema e di gioia mistica che le permette, nonostante sia stata colpita da una malattia degenerativa devastante sin dalla nascita, di restare per giorni e notti, anche dieci di seguito, senza dormire neppure un'ora, al capezzale dei moribondi. E senza chiedere nulla in cambio.

«Lo faccio per amore del Signore. È lui che mi dà la forza - spiega con semplicità, stringendo tra le mani il rosario - e anche tanta felicità». Una felicità, forse incomprensibile per chi non ha la fede, ma sicuramente Sabrina sta dando grande fiducia e sostegno alle famiglie di Teresa e di Eugenia, due anziane in questi giorni ricoverate insieme in una stanzetta della Casa di cura San Giorgio di Pordenone, alle quali lei, seduta in mezzo ai due letti, stringe la mano per ore e ore, coccolandole come fossero bambine e confortandole con le preghiere.

Ma anche quando alla Casa di cura arrivano parenti e badanti Sabrina non se ne va: mangia e si cambia con gli abiti che le porta sua madre. Se ne sta in disparte, ma sempre vigile e pronta a intervenire. 
«Ero atea - racconta l'allieva spirituale di don Lelio Grappasonno, il parroco fuori dal coro di Rivarotta e Checchini, due paesetti nell'ombelico della provincia naoniana - e anche piena di rancore perché sin da bambina, quando mi avevano diagnosticato un'artrosi precoce, non riuscivo a essere come gli altri. I problemi di salute, infatti, mi hanno negato di dare vita alle passioni: il pianoforte, il ballo e poi la cucina. Sì, mi sarebbe piaciuto fare la cuoca - dice - ma non potevo permettermi di stare in piedi ore e ore. Poi mi sono sposata, ma neppure il matrimonio è andato bene... E tutti gli interventi chirurgici che ho subito si sono rivelati inutili. Ero piena di rabbia, vivevo la mia vita come un'ingiustizia. Non avevo la fede e mai avrei cercato Dio. Ma quando una notte d'inverno volevo farla finita l'ho incontrato.


Sabrina non pronuncia mai la parola miracolo. Ha pudore. Si rende conto del peso e del significato di quella parola, che può avere confini labili, facilmente confondibili con gli effetti della visione e della follia. Eppure tutto quello che fa, che sicuramente è fuori dal normale, perchè va oltre le capacità umane di sottoporsi a simili sforzi, soprattutto quando il dolore fisico ti tormenta, è un grande gesto d'amore. Apprezzato dai malati e dalle loro famiglie (che in un attimo hanno abbandonato ogni scetticismo) dal personale infermieristico e da un esercito silenzioso di credenti che arrivano ogni giorno, uno dopo l'altro, al Policlinico per unirsi a lei nella preghiera. Senza disturbare nè dare nell'occhio.

Ma se li noti resti sconcertato e ti senti quasi a disagio.
Come ti curi. Cosa fai per te? «Non ci sono cure. I medici - spiega - mi hanno suggerito i cannabinoidi per tenere a bada il dolore...ma ho rifiutato. Non voglio offrirmi al Signore con la mente ottenebrata dalle sostanze. Sto bene così, qui tra i malati. In ogni ammalato vedo Gesù morente nel letto. E aiutarlo mi dà felicità e forza». Come riesci a non dormire per così tanto tempo? «Dormo quando sono a casa e non sono impegnata con gli ammalati. Ma non è un problema. Non soffro. Quando ero atea soffrivo, e parecchio. Ma adesso proprio no. Anche se il mio futuro è incerto». Sabrina, che stringe sempre tra le mani il rosario della Madonna di Medjugorje, ricevuto in dono dai ragazzi dell'Oasi della pace, durante uno dei suoi pellegrinaggi in Bosnia Erzegovina, spiega che i malati ai quale fa assistenza ormai dal 2010 sono parenti di persone che frequenta nei Gruppi di preghiera.

«Oppure - precisa - mi vengono indicati da don Lelio Grappasonno, che conosco da 5 anni e considero il mio padre spirituale. Don Lelio - spiega Sabrina, che una volta rotto il ghiaccio non si risparmia nel raccontarsi - è un punto di riferimento per me importantissimo. Ha carisma, è espansivo e mi sa prendere per il verso giusto. Mi permette anche di stare in adorazione per ore, se non giorni, da sola nella cappella col Santissimo».


Mentre Sabrina parla sottovoce di fede e di dolore, in un luogo di sofferenza e addii, sgranando il suo rosario con 200 Ave Maria, fuori dalle finestre si fa buio. Le luci di Natale scintillano ovunque, il traffico è impazzito a causa della corsa ai regali e da un'auto esce un rigurgito di musica pop a tutto volume. È l'altra faccia della realtà e anche dell'anima, che spesso resta un mistero.

    
Ultimo aggiornamento: 28 Dicembre, 08:22 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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