Falsi prosciutti dop di San Daniele, il dna del maiale scagiona l'allevatore indagato

Lunedì 13 Giugno 2022 di C. A.
Prosciutti di San Daniele

PORDENONE  - Era finito nella lista nera degli allevatori che avevano immesso nel circuito Dop del prosciutto di San Daniele e di Parma suini non conformi al disciplinare. Avrebbe potuto chiudere la partita giudiziaria con un decreto penale di condanna di 6.500 euro di multa, invece ha affrontato un processo per false certificazioni, frode in commercio e contraffazione di Dop. Bruno Canevisio, un allevatore di Fornovo San Giovanni, in provincia di Bergamo, forte dei test sul Dna dei propri suinetti, ha ottenuto un’assoluzione perché il fatto non costituisce reato.

Dall’altro versante c’erano i Consorzi di San Daniele e di Parma, che si erano costituiti parte civile dopo i danni patrimoniali e di immagine patiti per le inchieste sui falsi Dop delle Procure di Torino e di Pordenone.

Quello di Canevisio - a parte qualche patteggiamento o messa alla prova - è il primo procedimento del filone torinese, quello coordinato dal pm Vincenzo Pacileo, ad essere definito. E decine di allevatori, anche friulani, che si sono ritrovati nelle stesse condizioni di Canevisio sono adesso in attesa di conoscere le motivazioni della sentenza. Nel frattempo l’avvocato Piergiorgio Bertoli, difensore dell’allevatore bergamasco, parla di un “processo pilota”, il cui esito potrebbe avere riverberi anche sul filone di Pordenone, dove ci sono 37 allevatori (oltre a 14 società) in attesa che il loro procedimento, rimasto intrappolato nell’emergenza Covid, venga calendarizzato.


LA GENETICA


Se a Pordenone si contestano problemi legati a genetica, peso (il massimo era 176 chilogrammi) e alimentazione dei suini destinati al circuito Dop, la Procura di Torino ha considerato la questione del peso connessa alla genetica. Al centro del processo di Bergamo c’era dunque il seme Duroc danese o irlandese, specie che ha un accrescimento più rapido e non è considerata adatta al prosciutto di San Daniele o di Parma, tanto da essere esclusa dal disciplinare. Canevisio ha una scrofaia, alleva suinetti destinati agli ingrassatori, compresi quelli della filiera del San Daniele. Era stato tirato in ballo da un tecnico che preparava le fiale con seme Duroc per conto di una società alla quale anche lui si rivolgeva. Si è sempre difeso sostenendo di aver acquistato seme consentito e, soprattutto, di avere dei verri di proprietà. «Abbiamo fatto indagini difensive - spiega l’avvocato Bertoli - Attraverso il consulente Edi Sanson è stata fatta una campionatura dei suinetti dopo la perquisizione fatta a Canevisio e prima che l’ipotesi di reato fosse formulata. È stato dimostrato che non derivavano dal Duroc, ma la Procura non ha tenuto in considerazione il test». Era solo una campionatura - ha ribadito Bertoli - ma fatta scientificamente, tanto che ha consentito a Canevisio di rientrare nella filiera ed essere depennato dalla black list.


MANCATO RISARCIMENTO


L’allevatore per essere finito nella lista nera ha dichiarato al giudice di aver patito un milione di euro di danni, in quanto i suoi animali potevano alimentare soltanto la filiera del prosciutto nazionale. In seguito all’indagine della Procura di Torino sono finiti a processo tutti gli allevatori che si erano riforniti dalla ditta che proponeva seme Duroc danese. Ci sono decine di processi gemelli in tutto il Nord Italia. Canevisio ha dimostrato di avere verri di proprietà e di aver acquistato solo in parte seme non consentito per i prosciutti Dop. Il Pm aveva chiesto 6 mesi di reclusione e il Consorzio di San Daniele, tutelato dall’avvocato Luca Zanfagnini, un risarcimento di 45mila euro. «È mancata la prova diretta che a Canevisio sia stato conferito seme non consentito», spiega Bertoli. E riferendosi ai futuri processi di Pordenone osserva: «La cosa più importante è essere riusciti a dimostrare direttamente per il San Daniele e indirettamente per il Parma, che i Consorzi erano a conoscenza di quello che stava succedendo. Ho chiesto in aula che cosa sia stato fatto per impedirlo, peraltro con gli allevatori che ragionavano sulla possibilità di modificare il disciplinare, e mi è stato risposto: «nulla». Forse non pensavano che fosse reato, ma oggi è assurdo che pretendano decine di migliaia di euro di danni quando sapevano che il fenomeno c’era e nulla hanno fatto per impedirlo. Se poi c’è stato reato, lo dimostrerà la Procura».

Ultimo aggiornamento: 18:25 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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