Meno di quarant’anni.
L’ODISSEA
È stata la madre dell’uomo, Anna Savchuk, a organizzare la fuga dal teatro di guerra. Fa la badante a San Vito, si è messa in contatto con il sindaco Alberto Bernava. E ieri mattina ha riabbracciato famiglia e nipoti. Il Comune ha accolto i rifugiati prima all’esterno del palasport. «Ci hanno dato le brioches e un po’ d’acqua», ha raccontato Taras, che non parla italiano o inglese ma che “usa” la madre come traduttrice. Poi il trasferimento all’affittacamere “Chiaro di luna”, a Santa Sabina. Lì, finalmente, un pranzo e i racconti. «Veniamo da Leopoli (la città ucraina più vicina alla Polonia, ndr). Prima abbiamo preso un pullman grande verso la Polonia e da lì abbiamo iniziato il viaggio verso l’Italia. Siamo esausti, ma felici. Vogliamo ringraziare il popolo italiano, saremo per sempre grati». «Mio marito fa l’autista, è spesso in Polonia - spiega Liudmilla -. Quando ho iniziato a sentire le bombe ho avuto paura. Gli ho detto “dobbiamo andarcene”. L’abbiamo fatto per i nostri due bambini». La famiglia ucraina che ha raggiunto San Vito è partita da Leopoli il 24 febbraio. I conti sono facili. Ci hanno messo quattro giorni. «Due solo per passare la frontiera tra Ucraina e Polonia», spiegano.
L’ORRORE
«Non immaginavamo una guerra nel nostro Paese. Ci sentiamo europei - raccontano prima di andare in ospedale per i tamponi anti-Covid -, vogliamo tornare nella nostra Ucraina ma adesso non crediamo nella pace. Putin non la vuole, lui vuole l’Ucraina. Ci affidiamo al nostro presidente Zelensky, che giorno e notte combatte per il nostro futuro».