Ospedali in difficoltà, quindici i primari ancora da nominare

Giovedì 28 Novembre 2019
Ospedali in difficoltà, quindici i primari ancora da nominare
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PORDENONE La prossima settimana, in Consiglio regionale, si voterà la riforma sanitaria. Intanto a Pordenone si aggrava la situazione legata alla carenza di primari. «Mentre la richiesta di riconoscere all'ospedale di Pordenone - sottolinea il consigliere regionale Pd Nicola Conficoni - lo stesso ruolo di quelli di Udine e Trieste (avrebbe un ruolo inferiore nonostante i residenti siano più di 300 mila) avanzata la scorsa settimana in commissione regionale, attende una risposta, il pensionamento del primario di Pneumologia del Santa Maria degli Angeli lascia vacante un'ulteriore casella eccellente. L'elenco, sul territorio è lungo e preoccupante: a San Vito e Spilimbergo mancano i primari di Ortopedia, Radiologia, Medicina, cui si aggiungeranno da gennaio Chirurgia e da marzo Pediatria, senza  dimenticare la direzione sanitaria. «A Pordenone - aggiunge il consigliere - non sono stati sostituiti i primari di Oculistica, Laboratorio, Anestesia, Nefrologia e dialisi, Fisiatria, Cardiologia, Dermatologia, Microbiologia e, dal 5 dicembre, Pneumologia. Radiologia sarà vacante da gennaio 2020, mentre la direzione sanitaria, con il pensionamento di Giuseppe Sclippa a fine anno. Anche i direttori del Csm di Pordenone e Sacile sono scoperti». «A completare il quadro anche il commissariamento dell'Azienda Aas 5 che non ha aiutato a risolvere i problemi e le dimissioni di Adriano Marcolongo dalla giuda del Cro, dove pure il direttore scientifico è precario. Se si vuole davvero migliorare il sistema sanitario non si possono lasciare scoperte caselle così importanti ma bisogna investire anche sul personale. Chiederemo, pertanto, alla Regione garanzie».
RICERCATORI AL CROL'assessore regionale Riccardo Riccardi scrive al ministro della Salute chiedendo che la questione venga risolta. L'assessore propone al ministro una deroga, specificatamente limitata ai ricercatori, al decreto 165 del 2001 che vieta alle pubbliche amministrazioni di stipulare contratti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro personali e continuative, le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente anche con riferimento a tempi e luoghi di lavoro. «La soluzione prospettata permetterebbe alle strutture del servizio sanitario di mantenere la continuità della ricerca. Inoltre, potrebbe essere inserita in una specifica disposizione nella legge finanziaria 2020 permettendone l'estensione a tutta l'Italia».
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