Pordenone. Uccise dirigenti in azienda:
«Non ce la faceva più con il mutuo»

Lunedì 26 Luglio 2010 di Olivia Bonetti
Paolo Iacconi e la Gifas di Massarosa, dove è avvenuta la strage
PORDENONE (26 luglio) - Mio fratello aveva il terrore del sangue. ancora incredula Roberta Iacconi, la sorella di Paolo che dalla tiv nell'abitazione di viale Trentino 3 a San Odorico di Sacile (Pordenone), con i suoi genitori vede le immagini di suo fratello e i racconti della strage che ha compiuto a Massarosa (Lucca). «Il mostro che descrivono - afferma Roberta - non ha nulla a che vedere con la persona che era Paolo. Il suo ricordo lo porterò dentro me. Non so cosa sia scattato in lui, ma so perché: senza lavoro e soldi, con un mutuo da pagare, era disperato. Una disperazione che ho respirato e sentito forte questa mattina (ieri ndr) quando per la prima volta sono entrata nel suo appartamento per arieggiare le stanze».



Ogni volta che il papà Fulvio, 85 anni e con grandi problemi di salute, vede la foto del figlio ripete «il mio bambino». Piange tutto il giorno e con lui la mamma Fiorella Zaia, 78 anni, che non riesce a farsene una ragione. Poi Roberta Iacconi continua: «È stato detto che qualcuno, medici o altri, non sapevano che mio fratello deteneva una pistola. Non è vero, tutti sapevano e i suoi momenti di sconforto erano regolarmente documentati, tracciati dai ricoveri e dall'assistenza che aveva avuto. L'arma era regolarmente denunciata e lui non l'avrebbe mai usata». La voleva vendere infatti Paolo quella Beretta 7,65. L'idea un paio di anni fa, dopo il periodo buio che è seguito ai tre tentativi di suicidio con i barbiturici tra il luglio 2006 e gennaio 2007. «Diceva che per lui era ormai un peso - spiega Roberta - l'obbligo di tenerla in casa, come prevede la legge. La teneva smontata in una valigetta e mai l'avrebbe toccata. Non lo ha mai fatto da quando aveva chiuso con la sua passione del tiro sportivo al poligono che molti anni fa frequentava sulla Pedemontana, vicino ad Aviano. Non la ha mai più toccata, fino alla tragedia».



La sorella ricorda anche l'ultimo periodo, le grandi difficoltà economiche e i segnali che ora prendono nuova luce. «Per Paolo, disoccupato dal 12 giugno del 2009 la rata del mutuo, che ha sempre pagato regolarmente, era diventata insostenibile. Pagava 3500 euro ogni 6 mesi e faceva fatica anche quando poteva contare sulla cassa integrazione (poco meno di mille euro). Poi è finita anche quella e lui si è ritrovato un grosso problema». Così la sorella a marzo 2010, con la lettera di licenziamento della Gifas in mano è andata alla banca del centro di Sacile per chiedere, per le persone che hanno perso il lavoro, la sospensione di un anno. «È previsto per legge - spiega - ma in banca mi hanno detto che per ora non avrebbero potuto concedere l'agevolazione e le rate andavano pagate regolarmente. Se ne poteva riparlare a settembre, quando avrebbero ripreso in mano la pratica di Paolo».



Così il mutuo, le bollette, le spese, l'insonnia e il caldo. «Negli ultimi giorni - continua Roberta si era lamentato del caldo. In casa c'è l'aria condizionata, ma quando usciva sul pianerottolo non la sopportava quell'afa. In più si era messo a dieta per perdere qualche chilo». E poi tutte le porte prese in faccia alla ricerca di una nuova occupazione, a 51 anni. Le medicine che prendeva e non prendeva e che al centro gli venivano date di mese in mese. «Forse qualcosa - conclude Roberta - non ha funzionato nel sistema, perché mio fratello andava dagli psicologi del centro di Igiene Mentale di Sacile, e prima ancora ha fatto la terapia dopo i tentati sucidi. Tutti sapevano dell'arma, tutti gli davano le medicine, eppure è accaduta questa tragedia»
Ultimo aggiornamento: 7 Aprile, 18:27 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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