Un pilota di classe ha portato il bolide neroverde in serie B dominando l'intera stagione di C, vissuta in testa per otto mesi. Tanto rigore, una buona dose di metodo, il mantra del gruppo e un pizzico di scaramanzia. Tutto questo è Attilio Tesser da Montebelluna, classe 1958, ex laterale basso («ai miei tempi si diceva terzino di spinta») di Udinese e Napoli, ideologo e stratega di un Pordenone che giocherà per la prima volta tra i cadetti del pallone proprio nell'anno del centenario d'attività del club.
Mister, da cosa nasce questo boom dei ramarri del Noncello?
«Da fattori diversi e complementari. Partirei dalla forza della società, che si è sempre sentita: la famiglia Lovisa ha competenza, entusiasmo e un progetto chiaro. Poi il gruppo: i giocatori si sono messi a disposizione delle mie idee fin dal primo giorno di raduno. Ho visto subito che mi seguivano in tutto, con forza e convinzione. I ragazzi ci hanno sempre messo il cuore e i risultati, fin dall'inizio, ci hanno aiutato. Come il pubblico e l'ambiente».
La Coppa Italia vi ha visti subito protagonisti e anche il campionato è cominciato bene. Vincere aiuta a vincere o serve anche dell'altro?
«Fare risultati all'inizio è importante per alimentare l'entusiasmo. Poi però serve la continuità, che è una discriminante essenziale in termini di successo: bisogna credere sino in fondo in ciò che si fa».
Ma si può parlare di miracolo Pordenone?
«No. È più corretto ragionare su una squadra che si è rivelata capace di sviluppare perfettamente il ruolo dell'outsider, della guastafeste, con un suo preciso modello di gioco».
Infatti ad agosto nessuno vi dava tra i favoriti, con rivali come Ternana, Lanerossi Vicenza, Monza e FeralpiSalò che sul mercato avevano speso molto più di voi. Meglio partire a fari spenti e lasciare che i riflettori si accendano sugli altri?
«Meglio avere un'identità forte, un'impronta chiara e un gruppo cementato».
Quando ha capito che avreste potuto davvero vincere il campionato?
«Non mi sento d'indicare un momento specifico. Piuttosto, noi siamo stati promossi grazie alla nostra continuità di prestazione, tanto da rimanere imbattuti fuori casa, perdendo complessivamente soltanto tre partite».
Però la sfida vinta in marzo a Trieste ha fatto la differenza.
«Quella del Rocco è stata la prova di forza che ci ha permesso di allungare da 7 a 10 punti il vantaggio sui giuliani, alimentando la nostra autostima e dando un segnale a tutte le avversarie. Ma se la settimana successiva avessimo perso in casa contro un Monza lanciatissimo, quell'exploit non sarebbe servito a nulla».
Lei ha allenato da Nord a Sud, da Novara a Cagliari, ottenendo quattro promozioni. Cosa ha trovato di diverso sul Noncello rispetto al passato?
«Un ambiente tranquillo e sereno, come i suoi tifosi, ma nel contempo ambizioso e propositivo».
Le pressioni?
«Quelle si presentano ovunque. Bisogna saperle gestire».
Il futuro del Pordenone?
«Lo vedo positivo. Si è creata un'identità forte in termini di maglia, appartenenza e territorio. Certo la prima stagione in serie B è complicata, bisogna strutturarsi bene».
Gli uomini decisivi della sua armata neroverde?
«Potrei citare un Bindi straordinario, un Bassoli implacababile, un Candellone bomber. In realtà a fare la differenza è stato lo spirito di coesione elevatissimo: mai un alterco o un problema, tutti a remare insieme nella stessa direzione».
Domenica sera al Bottecchia, subito dopo il 3-1 alla Giana che ha sancito la vostra promozione matematica, lei ha elogiato pubblicamente quelli che ha definito i suoi vecchietti: Stefani, De Agostini e Berrettoni.
«Li ho visti piangere di commozione negli spogliatoi».
La Triestina?
«Al di là della rivalità sportiva, merita i complimenti per l'intero cammino. Subito dopo aver perso con noi, gli alabardati sono andati a vincere a Vicenza, mostrando che fino all'ultima giornata non avrebbero mollato. Nello sport è giusto così, devi saperti guadagnare tutto con l'impegno, la fatica e il sudore. E non dimentichiamo la FeralpiSalò, capace di un filotto di 7 vittorie, che non può arrivare per caso».
Tesser, alla fine vince sempre il più forte?
«No, per me vince chi sa dare quel qualcosa in più».
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