Case popolari, duemila in coda ma uno su due rifiuta l'alloggio

Martedì 3 Dicembre 2019 di Marco Agrusti
Case Ater, in duemila sono in coda in attesa di un alloggio
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PORDENONE - Suona come un cortocircuito: ci sono duemila persone in lista per ottenere una casa popolare in provincia di Pordenone e la metà di chi riesce ad avere un posto lo rifiuta. Chi perché trova di fronte a sé un legittimo impedimento legato alla conformazione dell’alloggio, ma anche chi non gradisce la casa che lo Stato, attraverso la Regione e l’azienda per l’edilizia popolare, gli ha trovato con un affitto calmierato. L’analisi che fuoriesce dagli uffici dell’Ater di Pordenone ha dell’incredibile: in una provincia nella quale ci sono circa duemila persone in coda per una casa, il 50 per cento di chi la ottiene poi la rifiuta.   «L’Ater ha a disposizione dai 150 ai 160 alloggi l’anno», conferma il vertice pordenonese dell’azienda, Angioletto Tubaro. Non si tratta di nuove costruzioni, ma di tutti gli appartamenti lasciati liberi dai precedenti inquilini. Si liberano ogni 12 mesi perché chi ci abitava è deceduto oppure perché nel tempo ha trovato un’altra sistemazione. È indifferente la posizione, perché gli alloggi si liberano sia in città che in provincia, ma è ciò che succede dopo a far inceppare il meccanismo: «La metà degli assegnatari delle case popolari che abbiamo a disposizione - conferma infatti Tubaro - rinuncia alla concessione dell’alloggio». E si tratta delle persone titolari della posizione più alta in graduatoria, cioè di chi secondo le normative in vigore avrebbe maggiormente bisogno di una sistemazione a prezzi calmierati. Ecco quindi che il sistema si inceppa e si crea un problema - anche economico - per tutto il complesso legato alle case popolari e alle liste d’attesa. 
LA PARTICOLARITÀ
La domanda di case popolari è alta, tanto che alla Regione ogni anno arrivano richieste di finanziamenti per realizzare nuovi edifici, in città e in provincia. Allora perché il 50 per cento di chi ottiene le chiavi le ritorna all’Ater ancora prima di aprire la porta? Le motivazioni sono diverse, ma alcune lasciano a bocca aperta. 
Ci sono due categorie di rifiuto. La prima riguarda chi si trova ad ottenere un alloggio che non risponde ad alcuni requisiti necessari. «Ad esempio - spiega Tubaro - capita che una persona con disabilità possa diventare titolare del diritto ad un alloggio popolare che però si trova al terzo piano, dove non c’è magari l’ascensore». In quel caso si parla di problemi operativi, e l’inquilino che rifiuta l’assegnazione mantiene il suo posto nella graduatoria. Ma ci sono altre persone che gettano alle ortiche la possibilità di avere un alloggio perché non gradiscono la nuova sistemazione, anche se a prezzi calmierati. «In questi casi i problemi sono i più svariati: dal bagno cieco che non è gradito al nuovo inquilino alla metratura dell’appartamento considerata insufficiente». E visto che la metà di chi ha diritto alla casa popolare finisce per rifiutarla (l’analisi non fa differenza tra italiani e stranieri, perché a detta dei vertici Ater i comportamenti sono sovrapponibili), gli alloggi rimangono spesso vuoti. «C’è anche un altro problema - sottolinea Tubaro -: ogni volta che qualcuno rifiuta una sistemazione, si allungano i tempi per la riassegnazione. Ci vuole un cosiddetto periodo tecnico affinché possano essere riallineate le liste d’attesa e le graduatorie». 
Quando un cittadino titolare del diritto all’ottenimento dell’alloggio, invece, rifiuta l’assegnazione per il secondo motivo, cioè quello non legato a impedimenti oggettivi, finisce in fondo alla graduatoria. Ma tant’è, evidentemente nemmeno il rischio di perdere le posizioni guadagnate in precedenza riesce a invertire la tendenza. 
Marco Agrust
Ultimo aggiornamento: 09:16 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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