Mauro Corona, la ricetta per salvare la montagna che muore: «Serve l'anarchia»

Mercoledì 22 Gennaio 2020 di Marco Agrusti
Lo scrittore e alpinista Mauro Corona
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ERTO E CASSO - Provoca, fa slalom speciale tra una battuta a luci rosse e il lessico colorito di chi ha le radici piantate tra le rocce. Poi però il filo del discorso fa il suo giro e si libera dagli orpelli, per arrivare a un’idea che di scherzoso non ha nulla. È la pietra angolare del pensiero di Mauro Corona sulle strategie per salvare la montagna pordenonese dallo spopolamento: «Alle valli serve una dose choc di anarchia imprenditoriale. Ci hanno demolito l’entusiasmo con tutte quelle carte che servono per aprire un’attività. L’unico modo per salvare la montagna è lasciare libera l’iniziativa privata». 

«Basta ambientalisti di città, in montagna serve anarchia: vuoi aprire un bar? Lo apri»
 



LA VISIONE
Mauro Corona ha seguito da Erto le iniziative regionali per favorire l’imprenditoria giovane nelle valli a rischio spopolamento. Ha atteso, e oggi ha sfornato la sua ricetta. «Siamo stanchi delle chiacchiere della politica - attacca -. Sino ad oggi abbiamo assistito solo a iniziative mirate a distruggere la vita in montagna: lo scontrino elettronico, la burocrazia insostenibile, i corsi da 900 euro per tagliare più di 50 quintali di legname. Conosco personalmente il presidente Massimiliano Fedriga e mi sta anche simpatico, ma la politica non capisce di cos’ha bisogno la montagna. A noi serve prima di tutto il lavoro, ma la nostra situazione non può essere paragonata a quella della pianura: è chiaro che i giovani scappano se devono pagare le stesse tasse e affrontare le stesse strettoie di chi in città può guadagnare il doppio. E questa l’anarchia di cui parlo: togliete tutti i vincoli, fate aprire un’attività commerciale in un solo giorno, poi la si controlli per evitare di dare accesso alle valli ai furbetti». 

«Basta ambientalisti di città, in montagna serve anarchia: vuoi aprire un bar? Lo apri»

L’ALLARME
Erto e Casso non si sono mai amati. Friulano e ladino il primo, bellunese-cadorino il secondo. E Corona, ertano, cita proprio un esempio di Casso per renderlo paradigmatico dell’intero panorama montano pordenonese. «Il bar K2 di Casso ha a disposizione un bacino d’utenza di 14 persone e un bambino. Com’è possibile che debba pagare le stesse tasse degli altri? Così ci distruggeranno». E se gli si chiede la disponibilità a partecipare al tavolo promesso da Regione e Ascom pordenonese sul futuro della montagna, risponde con un breve resoconto: «Da almeno due anni mi impegno per formulare proposte in grado di risollevare le sorti dei piccoli paesi. La montagna siamo noi, e non c’è molto altro da dire: bisogna smetterla di avere paura di realizzare infrastrutture. Ci servono strade, non ambientalisti che amano i nostri luoghi e poi li vengono a visitare con i suv da decine di migliaia di euro. Si facciano un giro tra le montagne della Val d’Aosta, vadano a vedere come sono sfruttate per il bene degli stessi valligiani». 

LE IDEE
«Si può fare anche da noi - aggiunge Corona -, basta smetterla con i progetti faraonici. Si deve tornare sulla terra e lavorare per la terra. Ho una proposta semplice, ma che può cambiare in poco tempo la situazione. Si riferisce alla Val Cimoliana: con poche decine di migliaia di euro si può realizzare un paravalanghe in grado di “liberare” un’area nella quale realizzare un gigantesco parco giochi da innevare. Si possono aprire piste da fondo, sentieri bianchi per raggiungere il rifugio Pordenone d’inverno e godersi la montagna. E se non si trovano i soldi, il progetto sono disposto a pagarlo io, non sto scherzando. Ci si può aggiungere anche un servizio navetta con le motoslitte. Basta però che non ci siano solamente carte da compilare, registratori di cassa da comprare». Cose da gente di pianura. Il messaggio è chiaro: non si possono trattare realtà diverse con gli stessi parametri interpretativi. Sarebbe la stessa strada di sempre, con alla fine un muro.
 

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Ultimo aggiornamento: 15 Aprile, 10:11 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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