Ruba bancomat per giocare: «È malata», accusa cancellata

Venerdì 12 Ottobre 2018
Ruba bancomat per giocare: «È malata», accusa cancellata
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PORDENONE - Il vizio del gioco è una malattia. Una malattia grave, che può far perdere la testa fino a provocare una momentanea incapacità di intendere e volere. È per questo che una donna di 58 anni, residente nella provincia di Pordenone, l'altro ieri è stata assolta con formula piena dall'accusa di aver utilizzato indebitamente una tessera bancomat rubata appositamente per giocare. La sentenza è stata pronunciata nell'udienza preliminare del gup Eugenio Pergola ed è supportata da una perizia psichiatra affidata ad Angelo Cassin. Entrata nel vortice della febbre del gioco, durante una festa la donna si era impadronita del bancomat trovato in una borsetta, aveva raggiunto la sala Bingo di Zoppola e per diverse ore aveva continuato a giocare prelevando i soldi con la tessera rubata. Dopo la denuncia da parte della vittima del furto, seguendo le tracce lasciate dai prelievi  bancomat gli investigatori erano riusciti ad arrivare alla sala da gioco e all'identità della donna che aveva utilizzato la card prima che la banca la bloccasse.
Una volta instaurato il processo, è emerso che la 58enne non ricordava nulla. Non sapeva dare spiegazioni su quel bancomat che si era ritrovata tra le mani al Bingo e che aveva utilizzato sperando in qualche vincita che le avrebbe cambiato la vita. La sua memoria aveva completamente cancellato quell'episodio. LA PERIZIA Non solo la donna non ricordava nulla, ma al processo è emerso che non era in sè quando rubò il bancomat. Per accertare lo stato di momentanea incapacità di intendere e volere il giudice per le udienze preliminari si era affidato a un consulente, lo psichiatra pordenonese Cassin. Le sue conclusioni sono state decisive ai fini della decisione del magistrato. La donna è stata sottoposta a perizia ed è stato esaminato il percorso che ha fatto al centro per la cura della dipendenza dal gioco d'azzardo. È emerso che, quando ha agito, era in balìa della febbre da gioco che l'ha portata a fare una cosa che, normalmente, non avrebbe mai fatto. La sua condizione - come spiega l'avvocato Manlio Contento, che l'ha seguita nella fase processuale - è stata equiparata a una situazione di dipendenza, ciò che ha fatto era indipendente dalla sua volontà. La donna conduce una vita regolare, lavora, ha una famiglia e una condotta irreprensibile. Quell'episodio, insomma, era legato esclusivamente alla smania per il gioco. In Tribunale a Pordenone è una delle prime sentenze sul vizio parziale di mente legato al problema della ludopatia. C.A.
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