PORDENONE - Un caso di infibulazione scoperto durante una visita pediatrica sarà al centro di un processo che, per essere avviato, ha dovuto avere il benestare del ministero della Giustizia. C’è voluta la firma dell’ex ministro Marta Cartabia per procedere contro i genitori di una bimba nata in Friuli da immigrati africani. La mutilazione dei genitali, infatti, non è avvenuta in Italia, ma all’estero. Ieri una coppia del Burkina Faso, che da tempo vive in provincia di Pordenone, è stata rinviata a giudizio dal gup del Tribunale di Pordenone, Monica Biasutti, per le ipotesi di lesioni aggravate in riferimento all’articolo 583 bis, che punisce coloro che, in assenza di esigenze terapeutiche, cagiona una mutilazione degli organi genitali femminili. La pena è severa. Si rischia fino a dodici anni di reclusione.
IL VIAGGIO
La vittima della barbara pratica, che in alcune comunità africane prevede la menomazione degli organi genitali femminili, è stata mutilata durante un viaggio nel Paese d’origine dei genitori. «È stata la nonna, noi non c’entriamo nulla», si sono difesi papà e mamma quando sono stati interrogati.
LE INDAGINI
Inizialmente è stata chiesta l’archiviazione del procedimento. I genitori, infatti, hanno negato ogni responsabilità e hanno indicato la nonna che vive in Burkina Faso. È stato il gip Giorgio Cozzarini a far cambiare orientamento alla Procura e, di conseguenza, a far arrivare il caso in udienza preliminare con un’imputazione coatta. Anche se fosse andata così - sono state, in sintesi, le conclusioni del giudice - i genitori avevano l’obbligo di proteggere la figlia sapendo quali rischi poteva correre durante il soggiorno in Africa, dove la madre della piccola è stata a sua volta mutilata. L’autorizzazione a procedere da parte dell’ex ministro Cartabia ha superato l’ostacolo rappresentato dal fatto che il reato è stato commesso all’estero.
LA DIFESA
Ai genitori è stato contestato il concorso nella mutilazione con persone al momento non identificate, con l’aggravante di aver commesso il fatto nei confronti di un minore e di un loro discendente. Il processo comincerà a maggio. Per la difesa - rappresentata dagli avvocati Luca Donandon e Laura Presot - è un percorso in salita. La relazione dei medici dell’ospedale di San Vito è inoppugnabile. Resta da chiarire la posizione del papà. «Lui non c’entra nulla - spiegano i legali -. Era stato tenuto all’oscuro, ha saputo soltanto in un secondo tempo quello che era successo».