Guerra in Ucraina, ecco l'ultima nave da Mariupol: ma i porti sono pieni di acciaio cinese bloccato dall'Europa

Martedì 15 Marzo 2022 di Marco Agrusti
Una nave in porto

Quindicimila tonnellate, tra lamiere e bramme.

Ma saranno le ultime, chissà per quanto tempo. Ieri mattina, nel porto di Monfalcone (Gorizia) è attraccata la nave partita il 23 febbraio da Mariupol, città diventata simbolo dell’invasione russa (il centro è assediato ormai da giorni e i morti sono migliaia). Poche ore dopo sarebbe iniziata la guerra. Lungo il tragitto, anche un blocco navale russo sul Mar Nero, poi il viaggio attraverso Egeo, Mediterraneo e Adriatico, fino a Monfalcone. L’ultima tappa sarà quella di San Giorgio di Nogaro (Ud), per scaricare l’ultimo materiale utile - per una sola settimana, si apprende - al laminatoio locale. E quindi alle aziende siderurgiche. Ma alle spalle della “Phoenix”, l’ultima nave da Mariupol, c’è un caso meritevole di attenzione. I porti, infatti, sarebbero pieni di acciaio. Il problema? È cinese ed è bloccato da una norma europea. Le aziende ne avrebbero un bisogno disperato. 


IL NODO


A inquadrare una situazione paradossale, è il presidente dell’Autorità portuale di Trieste, Zeno D’Agostino. La realtà stride, in un mondo - quello industriale friulano - che lamenta la mancanza dell’acciaio per continuare a tenere i forni accesi. Nei porti dell’Alto Adriatico, infatti, di acciaio ce ne sarebbe. Il problema è che non si può toccare, a meno di non voler pagare penali che arrivano fino al 25 per cento per lo sdoganamento. «Tutto deriva da una norma comunitaria che risale ormai a quattro anni fa - ha spiegato D’Agostino parlando della situazione dell’acciaio e dei porti commerciali - e che prevede limiti alle importazioni dell’acciaio prodotto in Cina». Il problema, in questo caso, sono i metodi di produzione. Quelli di Pechino non sono “green” come l’Europa vorrebbe e per questo - a causa delle alte emissioni in patria - è stato deciso di imporre dei limiti molto pesanti all’importazione del materiale. Limiti che ad esempio non riguardavano l’Ucraina. «Con la politica comunitaria verso la transizione energetica - ha spiegato sempre D’Agostino - è di fatto calata la disponibilità del materiale. Da un anno e mezzo l’acciaio europeo non è praticamente più in circolazione e quello cinese è fermo nei porti. Ce l’abbiamo (in misura minore anche a Trieste, mentre le tonnellate aumentano a Marghera e Ravenna, ndr) ma non possiamo sdoganarlo». 


IL METODO


In realtà qualche finestra per sbloccare l’acciaio cinese che ora tanto servirebbe alle aziende ci sarebbe anche. Il problema è che la possibilità viene aperta dalle norme europee ogni tre mesi. Quindi solamente quattro volte l’anno. È la politica del contingentamento delle importazioni dal “gigante” asiatico. «E dopo due giorni - ha aggiunto ancora D’Agostino - ti ritrovi ad aver già esaurito le quote di importazione. Il risultato? L’Europa, vista la situazione in Ucraina e il problema sul materiale cinese, rimane senza acciaio». E queste norme sono state rinnovate meno di un anno fa, nel luglio del 2021. 

Ultimo aggiornamento: 16 Marzo, 10:05 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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