Trapattoni, umile vincente: bagno
di folla per l'ex ct azzurro

Venerdì 18 Settembre 2015 di Roberto Vicenzotto
Trapattoni, umile vincente: bagno di folla per l'ex ct azzurro
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Pordenone - Il suo nome è Giovanni, non san Giovanni. Sa che l'acqua santa non aiuta a vincere, anche avendo avuta una sorella suora. Papà Francesco glielo ha insegnato e lui, classe 1939, anche adesso ci tiene, in tutto quello che dice, a essere umile. Non dimentica le origini, a cui torna sempre parlando di scudetti e competizioni internazionali.



«Giocando a calcio, sudi e ti prendi la tubercolosi» lo ammonivano in famiglia. Cocciuto, imparava dal paron Rocco e la sera finiva in cartotecnica, prima di entrare nelle autostrade calcistiche («E non nel sentiero bergamasco» rimembra il primo contratto firmato con l'Atalanta, che l'avvocato Agnelli fece sciogliere).



Il gatto che sta nel titolo della biografia, scritta a quattro mani con Bruno Longhi e presentata con un tripudio a Pordenonelegge, è la metafora dei risultati, ottenuti o da ottenere. Come una nuova panca, per lui che informalmente cominciò da allenatore nella fatal Verona rossonera, perché Rocco era squalificato ed il vice, Cesarone Maldini, ammalato.



In Italia come all'estero seguì epopea, alla faccia di tutti gli Strunz (alias fischi di Moreno, braccia di Henry e tanto altro) incontrati cammin facendo.

In sala stampa sgrana gli occhi azzurri, vedendola piena. «Mamma mia - esclama - sono onorato di essere qui per questo libro sulla mia storia, dopo anni che l'amico Bruno mi chiedeva di raccontarla». «A chi vuoi che interessi, ecco quale sarebbe stato il primo titolo - svela il coautore - con l'affermazione di Giovanni quando gli è stata proposta l'iniziativa».

Immortalata così una delle frasi cult, di cui è zeppo il suo percorso, assurta nel libro delle più celebri insieme a «I have a dream». E via, dal ragazzino «che giocava con la vescica del maiale riempita di paglia», a quando gente come Platini e Scirea lo lanciarono in aria a festeggiare le vittorie bianconere. «È una storia fortunata - ammette il Giuan - perché mi ha dato molto, ho girato il mondo e mi sono arricchito, anche economicamente vero, ma pure culturalmente. In tanti posti non ci sarei arrivato senza il pallone». Tutto l'accaduto è da rileggere. Davanti ai giornalisti, sa commuoversi fino alle lacrime. «Il ricordo che non mi abbandona mai - confida Giovanni Trapattoni - è che a mio padre non annunciai l'esordio con il Milan. Dissi a mamma di non dirglielo, perché non mi venisse a vedere, non sapevo come sarebbe andata. Lo seppe il giorno dopo dagli amici. Venne da me e mi disse "Non hai voluto che ti vedessi all'esordio e non avrò la fortuna di vederti"».

Due giorni dopo morì. «Ai miei nipoti - riguarda avanti il Trap - adesso dico di studiare e studiare ancora, che poi qualcosa si porta a casa».

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Ultimo aggiornamento: 19 Settembre, 11:12
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