«Regole e creatività», Maccan svela i segreti di Friul Intagli

Lunedì 1 Giugno 2020 di Roberto Ortolan
L'imprenditore Inaco Nico Maccan che ha creato dal nulla un'azienda che fattura 650 milioni di euro
Fisico asciutto, faccia sorridente e, a dirla all’americana, mascella volitiva. Si presenta così Inaco Maccan, per tutti Nico, l’imprenditore artefice del miracolo Friul Intagli. Un uomo che, sfruttando la propria intelligenza, la creatività e la voglia di stupire, ha costruito dal nulla un impero nel settore del mobile arredamento. Ma Maccan è rimasto con i piedi ancorati al suolo, mantenendo stretto il legame con la propria terra e i dipendenti («il vero patrimonio – ama dire – della Friul Intagli). Ecco, questo può essere il vero segreto che ha permesso a Maccan di superare le tante crisi che hanno attraversato il settore del mobile dal lontano 1968 quando fondò la Friul Intagli. Ogni ostacolo per Maccan è diventato un’occasione da sfruttare per crescere, consolidare il sistema produttivo, valorizzare i dipendenti e rafforzarsi, puntando a occhi chiusi su innovazione, nuove tecnologie. E anche l’emergenza Covid-19, che ha determinato una perdita del 15 per cento del fatturato, agli occhi di Maccan diventerà un’occasione per migliorarsi ancora e conquistare nuove fette di mercato.
Del Nico Maccan imprenditore si conoscono molte cose. Meno del Nico Maccan quotidiano. Lei è conosciuto come Nico ma il suo nome all’anagrafe è Inaco. Come mai?
«So che tutti mi chiamano Nico. Per il nome Inaco posso dire quello che mi hanno raccontato in famiglia. Ho preso il nome da un mio zio morto di cancro. A lui il nome era stato dato dalla levatrice, di origine Greca, in ricordo del re dell’Argolide Inaco e di un’isola sprofondata nel mare. Non so se sia verità o leggenda ma a me non dispiace il racconto».
Lei è un uomo severo? Si dice che usi parole forti anche per chi parcheggia male in azienda. E vero?
«Partendo dal fatto che i dipendenti sono una risorsa, forse quella più importante di un’azienda, va detto che in fabbrica ci sono delle regole da rispettare e tutti devono osservarle. Solo così la macchina funziona, facendo il bene di tutti. Multe? Non ne ho mai messa una, ma se ci sono degli errori intervengo e faccio delle osservazioni perché non si ripetano e così migliorare il funzionamento del sistema produttivo nel senso più ampio del termine».
Da piccolo a grande mobilificio fino ad azienda punto di riferimento nella produzione di mobili per la grande distribuzione. Quando la svolta?
«Dal 1968, quando siamo nati, è stata una crescita continua. Nel Duemila ho capito che bisognava fare un salto, una rivoluzione per restare competitivi sul mercato. Abbiamo accettato la sfida globale e abbiamo iniziato a produrre mobili per la grande distribuzione. Una rivoluzione culturale prima che tecnologica. Una sfida epocale che, grazie a collaboratori di altissima levatura, abbiamo affrontato e vinto crescendo insieme».
Da lì il matrimonio con Ikea?
«Non è stato semplice, ma un percorso articolato. Nei primi anni Duemila Friul Intagli ha dimostrato di avere i requisiti per lavorare e produrre con una multinazionale. Era una strada nuova e anche tortuosa ma eravamo certi che percorrerla era la scelta giusta. A quel punto Friul Intagli e Ikea sono cresciuti insieme. Fondamentale la serietà e la professionalità della multinazionale svedese. Doversi confrontare con un partner-cliente così esigente ci ha obbligati a migliorarci. E il risultato è sotto gli occhi di tutti».
Lei elogia sempre i collaboratori e i dipendenti. Tutto vero. Ma senza Nico Maccan cosa resterebbe della Friul Intagli?
«L’azienda già oggi, grazie ai miei figli e a collaboratori che io definisco da tripla A, è in grado di camminare da sola. Se invece il riferimento è ai contatti e ai rapporti dico che è sempre il mercato a fare i prezzi».
Appunto. Ikea è molto esigente su ogni aspetto, anche sul costo del prodotto. È vero? E quanto influisce sui processi produttivi?
«Certamente. Visto che è il mercato a fare il prezzo sta al produttore, in questo caso Friul Intagli, adeguarsi, mantenendo mercato, occupazione, fatturato e margini. La strada maestra che conosco è quella dell’innovazione tecnologica e del continuo miglioramento - potenziamento della capacità produttiva di ogni singolo stabilimento. L’unità produttiva di Portobuffolè è il nostro gioiello perché è quella più all’avanguardia. La definisco 4.0. Ma già tutte le altre l’hanno raggiunta e presto faremo un altro step per essere più efficaci ed efficienti. Lo dimostra il trend di crescita a due cifre che si ripete da anni».
In fabbrica con lei ci sono i figli, i collaboratori più stretti e poi altri 2mila dipendenti. Qualche privilegiato?
«Scherziamo? In fabbrica si fa sempre sul serio! Le regole, uguali per tutti, devono sempre essere rispettate. Forse sono un po’ più esigente con i figli che con i collaboratori. D’altra parte nella fabbrica dobbiamo viverci molte ore del giorno, uno vicino all’altro. Bisogna lavorare, produrre ma anche stare bene, soprattutto a livello psicologico e di emozioni. Se ci sono scontenti perché vivono delle ingiustizie non si cresce né si migliora. Alla Friul Intagli funziona così».
Come vede gli imprenditori in politica?
«Mi creda, l’imprenditore che entra in politica ha tradito la propria vocazione. O non era un vero imprenditore. Potrei fare nomi e cognomi ma non sarebbe elegante».
Maccan, il Covid-19 è stato pagato a caro prezzo dalle aziende. Anche alla Friul Intagli? Ci sarà ancora una crescita a due cifre?
«Noi faremo registrare un calo del fatturato del 15% rispetto agli oltre 600 milioni del 2019. Ma contiamo, entro febbraio 2021, di recuperare il livello di fatturato del 2019. In prospettiva stiamo lavorando con nuovi clienti che contiamo di consolidare nei prossimi mesi».
Obiettivo?
«Raggiungere e superare i 700 milioni nel 2022. Credo sia il nostro target effettivo per la produzione di mobili industriali per la grande distribuzione».
Qual è la prima scommessa da vincere nell’immediato?
«Abbiamo previsto robusti investimenti in innovazione. E gli obiettivi si chiamano robotizzazione dei magazzini e un ulteriore salto di qualità dei servizi legati alla logistica».
Per abbattere i costi?
«Il mercato fa i prezzi. E gli imprenditori italiani, per restare competitivi, devono essere creativi perché nel resto del mondo il costo del lavoro, spesso perché il personale è privo di diritti e tutele, è più basso che da noi. E ci penalizza. E non serve più andare in Paesi lontani, basta vedere quello che accade in Polonia che inizia a darci filo da torcere».
Mai pensato di delocalizzare o di vendere?
«No. E di offerte ne ho avute tante. Sono italiano e amo il mio Paese. Resto qui. Che senso avrebbe creare un’azienda in un altro Paese per fare concorrenza alla Friul Intagli? La nostra missione è vincere questa sfida globale restando in Italia e creando lavoro per gli italiani. In molti mi hanno chiesto anche di acquistare Friul Intagli, ma per la stessa ragione ho sempre rifiutato».
Lei ama l’Italia. Cosa cambierebbe o migliorerebbe subito se avesse la bacchetta magica?
«Cancellerei la burocrazia che ci fa penare. È la vera palla al piede del sistema economico italiano. Un macigno che ci portiamo sulle spalle e che spesso toglie la voglia di lavorare. Ma voglio troppo bene a questo Paese per alzare bandiera bianca. Almeno per un altro po’ continuerò a lottare e a restare in trincea. Poi passerò la mano ai miei figli. Li vedo lavorare al mio fianco e sono pronti a prendere in mano il timone del comando e a fare il bene della Friul Intagli, per questo sono messi alla prova ogni giorno».
In conclusione cosa ha insegnato o fatto provare a Nico Maccan la pandemia da Covid-19?
«La quarantena mi ha insegnato che si può vivere meglio e più serenamente anche se non si lavorano dodici ore al giorno, se non si sta sempre in fabbrica. È vero che la presenza del titolare in azienda regala serenità a tutti, ma è possibile delegare qualcosa in più ai collaboratori e restare qualche ora in meno in azienda. Ho imparato che è importante vivere serenamente voler bene e farsi voler bene soprattutto a casa. Dare importanza e peso alle emozioni perché senza “turbamenti” non c’è vita. Mi sono imposto la massima attenzione e il rispetto delle regole, com’è nel Dna del mio gruppo. Una filosofia di vita che ho sempre applicato in Friul Intagli, dove i protocolli di sicurezza anche prima del Covid-19 erano massimi, ma che ho introdotto nella mia vita di ogni giorno. È stato un brutto colpo anche perché ho perso un grandissimo amico. Il virus si è portato via Idelmo Rigo, con il quale ho condiviso tante cose che mi porto nel cuore. Il giorno prima del malessere, che si è rivelato coronavirus, ero con lui. Ho così vissuto giorni d’angoscia per l’amico che se ne stava andando e per me. In generale ho però vissuto bene il dramma. Solo 10 -15 anni fa probabilmente avrei avuto una reazione diversa, meno serena. Ma ora sono qui pronto a vincere un’altra sfida».
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Ultimo aggiornamento: 3 Giugno, 14:45 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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