Biometano? È una scommessa che, in tempi di crisi energetica e transizione ecologica, a parole sembra dietro l'angolo. La Commissione Europea attraverso il Pnrr finanzierà con 1,7 miliardi di euro la costruzione di impianti di produzione di biometano sostenibile nuovi o riconvertiti da precedenti produzioni.
La sfida
Pierpaolo Rovere, direttore di Fab (Fondazione Agrifood & Bioeconomy Fvg), costituita a inizio 2022 per la valorizzazione del patrimonio dell'agroalimentare e della bioeconomia regionale, parla di una situazione molto complessa. Dei 92 impianti a biogas, concentrati soprattutto nella pianura pordenonese e udinese, oltre una quarantina mangiano materiale vegetale e producono energia elettrica sotto un megawatt. Gli altri lavorano agganciati ad aziende agricole e mangiano liquami. I 40 che hanno una superficie agricola legata all'impianto coltivano cereali e hanno dovuto fare i conti con la politica dell'Ue, la cosiddetta farm to fork strategy, contraria all'uso di fonti alimentari destinate all'uomo e agli animali per nutrire gli impianti a biogas. «Il Covid e la guerra in Ucraina hanno dimostrato che l'Ue aveva ragione - spiega Rovere - Se c'è carenza di cereali e io sottraggo superficie coltivabile per il biogas, diventa un problema. Contrariamente avremo delle forniture di frumento e mais sicure, prodotte localmente. Alla fine sarà questa la partita da giocare».
La transizione
Secondo Rovere la transizione è possibile, ma ha dei limiti. Le speranze sono riposte nel Pnrr, anche se la partita deve tener conto di molte variabili. E Putin è la principale. Se la guerra finisce e le forniture di gas torneranno regolari, gli impianti di biometano, che deriva dalla raffinazione del biogas, saranno in grado di essere competitivi? «Il Friuli - afferma Rovere - ha grandi potenzialità. Ma ci sono tre cose da risolvere. Primo: con che cosa alimenti gli impianti di biogas? Secondo: quando li hanno realizzati nessuno li voleva vicino alle case, sono distanti dai centri abitati, se devono produrre biometano devono essere collegati alle tubature e Snam dovrebbe provvedere alla posa dei tubi». Infine, la terza incognita da risolvere per far funzionare il sistema: l'upgrade, cioè l'aggiornamento. «Il biogas brucia in generatori elettrici e l'energia elettrica viaggia sui cavi. Se lo immetto in rete come metano danneggerei tutti gli utenti, rovinerei le caldaie. Devo quindi frazionare la quota di metano, che va raffinato, e trovare una destinazione per le altre frazioni che non vanno in rete. Bisogna sviluppare tecnologie che permettano di sfruttare il biometano e industrializzarle è un problema. Adesso i costi che ha l'energia permettono di ragionare su come fare, se scende prezzo sarà sostenile la scelta della filiera? Il sistema primario ha le sue sfide, ma alla fine il sistema deve stare in piedi anche quando la questione ucraina sarà risolta».
Alternative alla granella
I problemi da risolvere non sono pochi. A causa della siccità il mais da trinciare viene venduto volentieri a chi produce biogas. Molte coltivazioni sono già state trinciate in virtù di un incasso sicuro per un prodotto che ha sofferto per la mancanza di pioggia o scarsa irrigazione e che tra qualche settimana potrebbe essere rifiutato dagli essiccatoi perché colpito da micotossine. La granella, inoltre, è una risorsa alimentare. L'alternativa? Le stoppie. Oppure i rifiuti organici. «Devo però essere sicuro del rifiuto che mi conferiscono - osserva Rovere - Gli impianti di biogas con il Forsu funzionano bene quando c'è coinvolgimento etico delle persone che fanno la raccolta».