Pordenone, focolaio Covid in reparto. La dipendente: «Primario al lavoro con tosse e starnuti». Ma per il Pm non c'è reato

Sabato 20 Agosto 2022 di C.A.
Pordenone, focolaio Covid in reparto: «Il primario al lavoro con tosse e starnuti». Ma per il Pm non c'è reato

PORDENONE - Sul focolaio di Covid-19 che in pieno lockdown colpì la struttura complessa di Anatomia patologica, all'ospedale di Pordenone, ha indagato la Procura. I contagi erano forse riconducibili al mancato rispetto delle linee guida emanate dalla Regione? Dopo due anni di accertamenti delegati ai carabinieri, il pm Carmelo Barbaro ha chiesto l'archiviazione del fascicolo aperto per verificare se vi fossero ipotesi di reato in capo al primario del reparto, il dottor Sandro Carlo Sulfaro, andato in pensione all'inizio di questo mese. L'ipotesi di epidemia colposa è stata esclusa, ma il caso non può essere considerato chiuso perché, contro le conclusioni del magistrato, è stata presentata opposizione da parte della dipendente che in una denuncia-querela aveva fatto riferimento a comportamenti «negligenti» in pieno lockdown da parte del superiore.

L'OPPOSIZIONE

Secondo la denunciante, tutelata dall'avvocato Luca Colombaro, il primario sarebbe andato al lavoro pur manifestando i sintomi del Covid. Che nonostante «tosse, starnuti e assenza di gusto» non avrebbe rispettato il distanziamento e indossato la mascherina. E che inizialmente avrebbe rifiutato di sottoporsi al tampone. La sua versione ha trovato conferma in numerose testimonianze raccolte dagli investigatori e ha spinto il pm, nelle sue conclusioni, a parlare di un «comportamento estremamente superficiale, aggravato sia dalla notoria situazione emergenziale sia dal ruolo rivestito». Ma questo non può comportare conseguenze penali: non è possibile dimostrare un nesso di causa tra la positività del medico e i tre contagi avvenuti nel suo reparto a fine marzo 2020. La prova che a contagiare le tre dipendenti sia stato lui non è emersa.

LA SICUREZZA

Secondo l'avvocato Colombaro, se l'epidemia colposa può essere ritenuta insussistente, così non sarebbe per le lesioni nei confronti delle dipendenti che avevano avuto una malattia di oltre 40 giorni riconosciuta dall'Inail e ricondotta al luogo di lavoro.

Nell'opposizione si lamenta che il primario, responsabile di sicurezza e tutela della salute dei dipendenti del reparto, abbia disatteso alle prescrizioni della Regione, che vietava l'accesso in ospedale a operatori sanitari con sintomi influenzali, raffreddore o tosse. Al gip Monica Biasutti, che a novembre valuterà il caso, è stato quindi chiesto di sentire ulteriori testimoni e di acquisire nuove documentazioni per sondare l'ipotesi del reato di lesioni colpose.

LA DIFESA

L'anatomo patologo si è affidato all'avvocato Fabio Gasparini. «Siamo sereni - spiega il legale - Sulfaro è uno stimato professionista che si è sempre attenuto alle linee guida di volta in volta emanate dalla Regione Fvg, anche per quanto riguarda le mascherine. Ritiene di avere sempre tenuto una condotta corretta. Non c'è alcuna criticità». L'inizio del lockdown per gli operatori sanitari era stato uno tsunami senza precedenti: contagi ogni giorno più alti, decessi, cure che non funzionavano e carenza di mascherine. La difesa sta ricostruendo quei giorni terribili confrontando anche le disposizioni contenute nelle linee guida, compresa quella che, vista la mancanza di mascherine, invitava a indossarle soltanto in presenza di soggetti sintomatici.
 

Ultimo aggiornamento: 11:35 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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